Nella gremita via Pier della Francesca, già densa di insegne di successo, l’imprenditore sud coreano Federico Lj Hu, noto al pubblico della ristorazione cittadina, ha avviato da cinque settimane il suo locale, Soot – che presto ospiterà anche una sala dedicata alla Griglia – in cui propone piatti dell’alta cucina del paese natio contemperandola, grazie all’aiuto dello chef conterraneo Kim Minseok, (reduce da un percorso formativo presso la prestigiosa ALMA di Colorno e da collaborazioni presso Joia, Lume, Seta e Daniel Canzian ) con un concept di ristorazione europeo e attuale, sia nella costruzione del menu, sia nella riduzione della quantità e del grado di piccantezza di ciascuna portata. Il menu si articola in sei sezioni tra antipasti, primi, secondi, carni, contorni e dessert: iniziamo con un croccante e sfizioso Hashbrown di patate Gwangwondo da intingere in una deliziosa e cremosa salsa di cozze; segue una golosa Frittella di ceci e verdure, accompagnata da kimchi (verdure fermentate) lievemente piccanti; terminiamo gli antipasti con un elegante Tentacolo di polpo, caratterizzato da spinte di acidità mai eccessive, vestito di un aromatico dressing ai pinoli e allo yuzu, rosei petali di cipolle di Tropea in salamoia e kimchi al finocchio. Giungono poi dei rincuoranti Noodles in stile di Jeju affogati in un sapido brodo di manzo, evocante tutto il vigore del suo midollo, e delle fettine sottili di lingua bollita con, ai bordi del piatto, della pomata di peperoncino da calmierare secondo preferenza; assaggiamo poi due pietanze a base di carne: la Rib eye di manzo marinata con rub, grigliata e poi glassata con salsa bbq alla coreana e della golosa e sapida Pancetta di maiale saltata con salsa piccante. Poi, come tradizione docet, i Banchan, serviti sempre à côté delle portate che completano e danno sapore alle pietanze. Concludiamo la degustazione delle portate salate con un impapabile Egg Bomb, soufflé che rasenta la perfezione, innervato da una potente nota verde e iodata di alghe, mentre il delizioso e morbido Donut, accompagnato da gelato alla vaniglia e crumble, ci regala la soave piacevolezza, assieme già ad un pizzico di nostalgia, di ultimare il nostro intervallo. La carta dei vini di Soot è piuttosto scarna con un’altrettanta purtroppo esigua proposta di Soju, distillato tipico coreano.
Al piano primo della rilucente Torre Allianz nel multi ‘ torrato’ CityLife District, DaV Milano è l’ottima e giovane insegna dello storico gruppo della famiglia Cerea Da Vittorio, brand e place to be, da oltre 50 anni, di eminenza nel panorama della ristorazione e dell’ospitalità. Nel locale, super gremito e di fine eleganza, ci accoglie un ineccepibile e giovane personale di sala capitanato dal garbo valente di Salvatore Impieri che ci propone varie opzioni in carta. Scegliamo CondiviDaV, una selezione di gourmandises assortite da compartire giocosamente e godere con l’intero tavolo. Esordiamo con una crema di Ricci di mare, mandorla e caffè permeata da una deliziosa spinta talassica, seguita da un aereo Krapfen ai funghi porcini e da un ottimo Taco ripieno di polpo mantecato, pomodoro verde e gel di limone bruciato. Giungono poi un naif, tenero e goloso ‘Ricordo della merenda’ consistente in una michettina farcita di salame e la Zucca sott’aceto, cacao e rafano dall’opportuno tocco detergente. Richiamo alla terra natia della Famiglia, il robusto Cappuccino bergamasco composto da una mousse al formaggio Gorgonzola in cui fluttuano scoppiettanti chicchi di mais tostati; delizioso il Manzo all’olio, bocconcino di Wagyu irrorato al tavolo con un tiepido brodo che ne ha esaltato la scioglievole grassezza delle carni. Richiamo alla terra insubre ricorre anche nel ‘Mondeghino come dalla nonna’ dalla ottima texture, sebbene forse un filo troppo sapido, adagiato su una rinfrescante crema di sedano rapa e salvia fritta ‘on top’; perfettamente calibrata invece la sapidità del Moro oceanico fritto, lieve e friabile al palato, accompagnato da ketchup di uva fragola. Un assaggio di ‘Ci vuole cuore’: tortello di zucca, emulsione di prosciutto crudo e salvia cosparso da cuore di manzo essiccato, affumicato e grattugiato, che ne completa e insaporisce il boccone. Divertenti fuori menu la ghiotta e tradizionale pizza Regina Margherita con pomodoro San Marzano, datteri gialli, mozzarella di bufala, Parmigiano e basilico e la strepitosa Pizza alla pala gourmet ‘Non c’è scampo’ insaporita da scampi, oliva taggiasca, pomodoro confit e basilico. Concludiamo questo ludico e goloso intervallo con ‘Guanaja e Bergamotto’: cremoso al cioccolato, sorbetto al bergamotto e mousse di cioccolato. Carta dei vini di DaV Milano interessante per la pregevole ricerca e anche per la suddivisione per tipologia, vitigno e produttore e l’ampia scelta al calice.
A due passi da Corso Sempione, nella vivace Via Procaccini milanese densa di interessanti insegne gastronomiche, ha preso vita qualche anno fa Maison Bretonne, un bistrot francofono che propone essenzialmente Plâteau di formaggi d’Oltralpe, Insalate servite nelle Galettes che qui fungono da involucro, Omelettes e Galettes de sarrasin – di grano saraceno – (una trentina in lista) o da comporre a piacimento. Golose Crêpes sucrées in varie declinazioni completano la carta dei dessert che annovera anche la Tarte tatin e l’introvabile Far Bretonne (una sorta di Flan alle prugne). Questa crêperie, arredata sobriamente con tavolini e scaffalature in legno chiaro che accolgono diverse etichette, si sviluppa tra una piacevole saletta, vestita di tanti quadretti evocanti la douce France, e un déhors con una ventina di coperti sul viale alberato. Debuttiamo con un plâteau di formaggi allestito con Caprino di latte vaccino alle erbette fini, Caprino di pura capra, Camembert e Roquefort accompagnati da miele e due tipi di confetture, una ai fichi e una superba alle arance amare, degustato assieme a una divertente tazza di Cidre Breton proposto sia in versione Doux o Brut. Proseguiamo con due fragranti Galettes cotte ‘express’, ça va sans dire, da Davide Sommella, uno dei due soci e ‘Maitre Crêpier’ di Maison Bretonne formatosi presso la “Ecole Maître Crêpier” di Rennes; la prima, Brest, è farcita con del Magret de Canard, cipolle caramellate, formaggio Buche de Chèvre e la seconda, La Rochelle, con Prosciutto cotto e buche de chèvre, purtroppo poco incisiva al palato e connotata da una farcitura piuttosto esigua; caratteristica peraltro riscontrata anche nell’altra. La carta dei vini di Maison Bretonne è interessante con una bella e ampia sezione dedicata agli Aperitivi con offerte di sidro, vini anche al bicchiere, cocktail e gin.
All’interno dell’imponente palazzo che ospita l’Hotel Armani – che, visto dall’alto, cela, nell’architettura del tetto, una “A” – ci sono ben tre ristoranti, uno dei quali è meno conosciuto del più famoso Nobu e dell’insegna fine dining del lussuoso hotel. Si tratta dell’Emporio Armani Ristorante che divide gli spazi dell’Emporio con il Caffè, tavola meno sofisticata delle altre ma che, ciononostante, merita attenzione. La brigata di cucina è guidata dal campano Ferdinando Palomba, che si è fatto le ossa in alcuni prestigiosi ristoranti stellati d’albergo, tra i quali citiamo l’Olivo a Capri. La sua è una cucina che contempla ricette e ingredienti distintivi sia del nord sia del sud Italia, ammaliando i palati della clientela borghese e dei tanti stranieri che siedono a questa tavola con innesti gourmet e modaioli che si focalizzano sul gusto. I super classici della cucina partenopea non mancano e, sebbene siano rivisitati con cura, restano saldamente ancorati ai sapori primari delle ricette originali (come le Linguine alla Nerano, ingentilite soltanto sul versante della sapidità e delle consistenze del vegetale). Tradizione ma anche proposte più semplici e internazionali (come il Club Sandwich o la Caesar Salad, ormai una necessità in carta, almeno in zona quadrilatero della moda) o qualcosa di più creativo, come nel caso dell’audace Risotto alla veneziana con seppioline scottate, germogli di piselli e paprika affumicata che riesce nell’intento di ricreare i sapori della laguna veneta, risultando bilanciato nelle acidità e irresistibilmente goloso, con sorprendenti passaggi tecnici come la marinatura delle seppioline nel Koji. Riuscitissimo anche il Polpo con passata di cicerchie e ‘nduja. I dessert seguono uno stile molto classico, ma sono realizzati con la stessa attenzione al dettaglio e alla presentazione. In sala tanti giovani, qualcuno più esperto di altri ma tutti gentili e premurosi. Carta dei vini non ricchissima ma dai ricarichi neanche eccessivi se si pensa al contesto, decisamente orientato verso una clientela più che benestante.
Nei pressi del Tortona District e della Darsena, Valerio Braschi, vincitore non ancora ventenne della sesta edizione di Masterchef Italia che aveva saputo conquistare i giudici con delle proposte futuristiche, ha avviato da qualche mese Vibe, giovane insegna di cui è socio assieme a Edoardo Maggiori, Patron di successo de La Filetteria Italiana. Qui il giovane cuoco nativo di Sant’Arcangelo di Romagna, classe 1997, propone un interessante menu degustazione, ‘Diario di un ragazzo viaggiatore’, che trae ispirazione dalle sue radici romagnole e dagli innumerevoli viaggi compiuti in giro per il mondo – forse con una predilezione stilistica per l’Estremo Oriente- articolato in 10 passaggi di cui i 2 finali affidati al talentuoso Pastry Chef Francesco Di Lallo che lo assiste anche in cucina (sono Valerio e quest’ultimo a muoversi da soli qui). Il Brodo, ben salino e ‘umamico’, che peraltro ricorre molto in questo menu, apre la degustazione con udon e anguilla affumicata; segue la Ricciola australiana che viene lasciata marinare con olii profumati, condita poi con wasabi, porro e delle foglie d’ostrica che ne amplificano la nota oceanica; giungono delle gustose Lumache fluttuanti in una aerea spuma di ceci e salsa di chorizo, quest’ultima poco definita; esotico e profumato il battuto di sode Mazzancolle, tom yam, purea di cocco e cardoncelli; si prosegue con il saporito brodo di agnello che accompagna la Tartare di pecora delle Sabine innervato da mirin e senape di Dijon; omaggio alla terra natia di Valerio, i Cappelletti di “lasagna della Bruna”, ripieni di salsiccia, lardo e concentrato di pomodoro su una fonduta di Parmigiano Reggiano, penalizzati però da una pasta inossata; il Ramen, che incigna il menù autunnale, è composto da soia, mirin, olio all’aneto, spaghetti di fagiolo mungo e finferlo; si chiude la parte salata con il Glacier 51 e Rubia Gallega, piatto che coniuga il mare e la terra con una netta sapidità che scaturisce dalla salsa di Rubia Gallega. Concludiamo la nostra visita da Vibe con il delizioso pre dessert Errore perfetto, consistente in un gelato al bergamotto, lasciato per dimenticanza – ecco l’errore – fuori dal freezer quindi allo stato liquido, permeato da una potente nota aromatica e anestetica conferita dal pepe di Sichuan e di collagene conferito dalle uova di trota, servito con Sakè caldo; infine Solaire, dolce ‘poco dolce’, chiude il nostro percorso consistente in un cremoso di mou, gel di albicocca, pan di spagna, biscuit vaniglia, sorbetto e tuile di albicocche con un divertente ‘zing’ finale piccante agrumato regalato dallo yuzu kosho, composto a base di peperoncino, sale e scorza di yuzu.
Ubicato dal 1988 in via Vittoria Colonna, a pochi passi dal ‘Marghera District’ in zona De Angeli, questo ristorante, – Gallura – abbigliato dei toni turchesi che richiamano le nuances delle profondità mediterranee, offre pietanze della tradizione sarda e nazionale quasi esclusivamente di estrazione ittica. In lista, Frutti di mare, Antipasti crudi e cotti: esordiamo con delle Ostriche di San Teodoro di Gallura carnose e permeate da potenti nuances di frutta secca; proseguiamo con un Bollito di mare (alias Insalata di mare) piuttosto routinario e con delle Seppioline gratinate su una stuzzicante crema di fave. Tra i primi in carta della tradizione isolana, Fregula in tre declinazioni: all’astice, ai frutti di mare e al nero di seppia e Lorighittas con ricciola asparagi e pomodoro; poi risotti, spaghetti, penne e tagliolini in svariate versioni. Assaporiamo un appetitoso Astice alla catalana, allestito con delle cipolle rosse di Tropea, pomodori Camone, pomodori datterini e foglie di basilico; segue poi una abbondante Grigliata mista di pesce, che purtroppo non evoca grandi sussulti, composta da orata, trancetti di tonno impanati nel sesamo, seppioline, gamberi e verdure miste. Per completare la cena in perfetto stile gallurese, Pecorino fresco e stagionato accompagnato da marmellatine assortite e dolci della tradizione come Seadas con miele, Crema Catalana, Torta al mascarpone fichi e noci, Torta ai tre cioccolati poi gelati, sorbetti e frutta secondo stagione. La carta dei vini di Gallura, come intuibile, orientata più su Spumanti e Champagne e sui bianchi con una valente selezione di etichette sarde; non manca comunque in lista qualche etichetta di rosso isolano e nazionale.
A pochi passi da Piazza Caneva, questo pittoresco ristorante di matrice Iberica, gestito da una coppia di Italiani rincasati poco tempo fa (il nome dell’insegna – Volveré – non a caso tradotto, significa ‘ritornerò) da una lunga esperienza in terre ispaniche, propone sfiziose specialità spagnole articolate tra Tapas, Paella e carni alla griglia e due menu dedicati all’aperitivo e al brunch, quest’ultimo, riservato ai giorni festivi. Il personale, sorridente e garbato, ci fa accomodare nella bella sala dai pavimenti in parquet e arredata da tavoli di legno intarsiato; alle pareti vivaci quadri ‘a tema’ che ritraggono ballerini di Flamenco e toreri. Esordiamo con dei crostiglianti Nachos a la brasa (chips di mais alla brace, formaggio filante, pico de gallo, guacamole e jalapenos), sfiziosi Chipirones a la Andaluza (calamaretti fritti accompagnati da salsa aioli), a seguire Pimiento piquillo relleno de bacalao (peperoni alla brace dal pronunciato tono fumé ripieni di ‘brandade’ di baccalà e crema di zucca) e per concludere gli antipasti, una porzione di patinato e scioglievole Jamon iberico Pata Negra “100% bellota”, tagliato al coltello e accompagnato da Pan y tomate (mini crostini di pomodoro). Proseguiamo con una gustosa Paella de marisco allestita con riso Albufera, scampi, calamari, seppia, gamberi, cozze e zafferano che ci restituisce tutto il calore e l’espressività della terra di Spagna; in carta Filetto a la brasa di Black Angus argentino, Filetto guarnito al “Queso La Peral” (erborinato vaccino delle Asturie), Fiorentina di Rubia Gallega, Entraña (Diaframma) di Black Angus e Pluma Iberica con cipolle caramellate. Crema catalana, Pastel de queso (una sorta di cheesecake a base di formaggi galiziani), Churros con cioccolato (mini torcetti fritti inzuccherati serviti con cioccolata calda) per concludere questa friccicante sosta. La carta dei vini di Volveré propone una ottantina di etichette molte delle quali fieramente battenti bandiera spagnola; buona anche la selezione di vini al calice.
Yoshinobu, uno dei ristoranti giapponesi più autentici e affidabili di Milano, si distingue per la sua impeccabile selezione di materie prime, presentate in un ambiente minimalista che, tuttavia, può risultare eccessivamente austero e scarno per alcuni gusti. Due sale compongono il cuore dello spazio: la prima, può ospitare circa una dozzina di persone, mentre la seconda è un autentico sushi bar, capace di immergere gli avventori nell’atmosfera autentica di uno spartano “sushi-ya”, mangiando davanti allo shokunin Yoshinobu Kurio all’opera.
Qui lo Chef Yoshi selezione con meticolosa attenzione le varietà di pesce migliori. Il suo impegno e la sua passione si riflettono nella preparazione manuale dei classici Nigiri, serviti a una temperatura del riso ottimale, e spesso con un tocco creativo: alla nostra ultima visita c’era un eccellente Morone con polvere di yuzu, in cui la materia prima era trattata con massimo rispetto. Il menù varia giornalmente, e realmente, in base alla disponibilità che offre il mercato. Ci sono poi alcune specialità della casa come i collari di pesce alla brace e i Nanban di sardina. Il pranzo offre l’opzione conveniente del Bento box, tipica scatola con compartimenti che cambiano giornalmente, regalando svariati assaggi della cucina giapponese. A cena da Yoshinobu il conto sale. Il servizio, coerente con l’atmosfera sobria ma autentica del locale, è discreto e mai invasivo. La cantina contempla qualche etichetta di vini rinomati a una piccolissima selezione di Sakè.
Nella zona che si estende dalla fine di Paolo Sarpi e Piazza XXV Aprile, tra gli anonimi ristoranti etnici di quartiere, c’è una nuova e autentica oasi giapponese che non passa inosservata. Nell’insegna c’è scritto Emoraya – nella cui parola dovrebbe essere contenuto il termine “emozionare” – e si tratta di un izakaya gestito da Takato Sato, premuroso e sorridente direttore di sala, e Shun Himeno, in cucina, entrambi provenienti dalla rinomata Gastronomia Yamamoto. L’ambiente è arredato in pieno stile giapponese -essenziale e moderno – con qualche tocco occidentale.
I piatti sono eseguiti con tutti i crismi imposti dal rigore della cultura nipponica, a cominciare dalla selezione del prodotto giornaliero alle tecniche utilizzate: qualità che traspare in maniera cristallina in piatti come il Kaisen Don, una ciotola di riso con filetti di pesce crudo, aromatizzati con salsa di soia e zenzero, come la Palamita scottata – magnificamente – in stile tataki servita con insalatina e salsa “tonnata” e, per finire, come la specialità dello chef: l’Una Don, ossia l’anguilla laccata in salsa teriyaki, su letto di riso, una delle migliori esecuzioni dell’anguilla che si possano trovare a Milano che per l’abbondanza della porzione servita consigliamo almeno per due persone. Anche i piatti apparentemente più semplici sono realizzati con cura, come la Potato salad, servita con l’uovo barzotto marinato, cetriolo ed erba cipollina. Se si vuole avere un’idea completa di quanto offre questa tavola si può prenotare il menu degustazione di otto portate a 80 euro che viene servito al bancone dello Chef. Carta delle bevande contenuta ma interessante con sakè, birre giapponesi, vini italiani e francesi, e tè.
La movida notturna della zona Marghera è una delle più rinomate della città. Molti locali dall’offerta variegata vengono presi d’assalto da clienti di ogni tipo. Tra le svariate tavole di quartiere, con l’obiettivo di rifuggire dal pericolo dell’happy hour dozzinale che imperversa tra le principali vie del rione, c’è Bottega Lucia, il fratello minore del rinomato Casa Lucia, ristorante amato dai milanesi e sempre affollato.
La “Bottega” è un bistrot di impostazione moderna, co bancone bar stile newyorkese, una carta dei vini ridotta all’osso, un’offerta di formaggi di qualità, affettati di pregio, principalmente spagnoli, qualche tapas, l’ormai immancabile offerta di mixology e la più rassicurante offerta di antipasti, primi piatti e secondi che spaziano dalla tradizione alle licenze creative-gourmet della cucina. L’offerta, diciamo, non brilla per personalità, ma non si può dire che non sia di qualità per un prodotto ben selezionato e trattato con abilità, come i Tagliolini freschi con gamberi rossi crudi, centrati nel gusto, con il crostaceo ben esaltato dalla salsa, o il Tonno Tataki al sesamo con sedano, salsa allo zenzero e agrumi, che denota una una bella mano nella cottura del pesce. Meno equilibrati, invece, le Linguine Verrigni con vongole, limone e mandorla, in cui prevarica la componente dolciastra di quest’ultima. Tra i dolci, semplici ma fatti in casa, come la Cheesecake basca con frutti rossi o la Lemon pie . Il servizio di sala, veloce e affabile, completa l’esperienza che, complessivamente, risulterà piacevole e soddisfacente.