Ciò che rende differente la pizza di Materia dalle altre milanesi è il legame con la Basilicata. Infatti, sulle pizze dall’alveolato cornicione, sono presenti gli ingredienti dall’azienda agricola di famiglia del proprietario, la realtà lucana BioAgrimar. Questo tipo di legame si rivela anche negli antipasti che vedono protagonisti il salame lucano con polvere di peperone crusco, il lardo di maiale nero lucano, la confettura di fichi artigianale e le polpette di mollica di pane e salsiccia di Cancellara con fonduta di Pecorino lucano. Il menù, suddiviso in “Pizze classiche”, “Pizze stagionali” e “Pizze contemporanee”, mette l’accento sulle materie prime semplici come le farine italiane macinate a pietra. Tra le pizze più riuscite spicca tra le stagionali la Radice (con vellutata di ceci BIO, guanciale di maiale nero, chips di cavolo nero e caciocavallo podolico), e la Fresca (provola affumicata, Mortadella Bonfatti presidio Slow Food, gel di Limone della Costa di Amalfi IGP, basilico, pepe nero, polvere di Limone essiccato). Tra le pizze contemporanee la Orto (crema di patate della Sila, peperone, cipolla caramellata, pomodoro confit, chips di melanzana), risulta ottima ed equilibrata. La sezione dei dolci è dedicata alle creazioni della pasticceria Marigliano di Ottaviano. In abbinamento alle pizze si può scegliere una delle birre artigianali in carta oppure optare per una bottiglia o un calice di Aglianico lucano. Materie prime scelte e prodotti bio corrispondono a prezzi più alti rispetto alle pizze più comuni, nella pizzeria Materia, dunque, le più elaborate si aggirano attorno ai 15€.
Matteo Mazza e Alessandra Straccamore hanno trasformato una ex casa cantoniera sul Naviglio Pavese, nel ristorante Motelombroso: uno spazio polifunzionale ma soprattutto meta di indubbio fascino per il caloroso senso di accoglienza e per la proposta culinaria affidata a Andrea Zazzara. Lo chef, che vanta trascorsi importanti da Nerua a Bilbao e con Matias Perdomo al Contraste, propone una cucina personale, minimalista e essenziale, prevalentemente “rotonda”, con toni più marcati sulla dolcezza, e interessanti, ma controllate, spinte sulle acidità. Colpisce un approccio di “delicatezza intensa”, con piatti che rivelano note di interessante lunghezza e aromaticità al palato. Paradigmatico “Otello”, un piatto già diventato un piccolo cult: riso integrale nero, aglio nero, limone salato e levistico. Una portata da scoprire piano piano nelle varie gradazioni di gusto, dove risulta intrigante il gioco fra la doppia grassezza della razza avvolta nel lardo, la salsa di mandorle fermentata e il limone a chiudere. Grande attenzione, inoltre, nel tenere gli ingredienti in purezza, per renderli chiaramente percepibili e “puliti”. È il caso dello sgombro marinato e leggermente affumicato con cavolo cappuccio all’aceto di lamponi e riduzione di mandarino. Un piatto valorizzato da un accompagnamento liquido: il brodo dello sgombro stesso, aromatizzato al dragoncello. Non possiamo infine non menzionare la bravura dei due padroni di casa, di brillante senso di accoglienza, che rende Motelombroso un posto davvero speciale.
Esponente della migliore “bistronomia” nazionale, questo bar à vin è la precisa materializzazione di ciò che accade quando un locale informale incontra una grande cucina.
Il servizio – curato da Carlo Maldotti e Noemi Sala – è quello di un grande ristorante, come si evince dalla scelta – acuta – di sostituire i calici dopo la portata a base di uova. Qui Tommaso Sorgentone, dalla cucina parzialmente a vista al piano superiore, ordisce una una proposta molto nitida, tecnicamente ed esteticamente impeccabile, vessillo degli anni trascorsi dietro al pass di Spazio Niko Romito Milano, da cui arriva anche Moldotti. Pur nella loro solo apparente semplicità, i piatti sono scrupolosamente ragionati e ottimamente bilanciati. Da provare l’uovo e la maionese, quasi una kartoffelsalat, ma nobile e golosissima, il tagliolino con alici e cime di rapa (in polvere) con l’omaggio a Gualtiero Marchesi nel burro acido, e il capocollo di maiale – mangalitza! – e verza.
Precisa nelle scelte la carta dei vini, sensibile alla causa ma senza fanatismi naturalisti.
È un tour intorno al mondo dai sapori appaganti, quello che va in scena all’Immorale Osè nelle sue sale immacolate, scaldate da luci soffuse. Da Immorale Osé la proposta dello chef italo-armeno Misha Sukyas si fa sintesi delle sue esperienze nel “Far East” e della sua passione per le eccellenze italiane dando vita a piatti dalle cromie calde e carnali, in una parola, osé. E così, al ritmo alchemico di masala, wasabi, ayran e kefir, prende forma una cucina di contaminazione e sostanza, fatta di sapori che evocano India, Giappone e Medio Oriente ma che ritornano in Italia, nel nome della ’nduja, del pecorino e del limone, per saldarsi in una esperienza “globetrotter” capace di gratificare il palato. Si parte con i tuberi yogurt e salsa verde e il cavolfiore con cacao kefir e verbena, che rivelano entrambi un gusto pieno, spinto sulle acidità. È metafora esistenziale del maiale il succulento strudel di filetto suino, avvolto nella sua pancia e innaffiato con una moka di fondo bruno alle erbe: lo accompagnano spuma di mais, mele verdi essiccate e polvere di cacao, i tre alimenti di cui l’animale si nutre; gioco di consistenze e sapori per il tonno marinato agli agrumi, cioccolato bianco, wasabi e croccante di riso al nero di seppia. Sul finale, spiazza l’éclair craquelin con crema di ricotta e nduja in salsa yuzu, un azzardo inatteso, che con la sua triplice natura dolce-salata-piccante è quasi un invito “osè” a ricominciare. Completa l’esperienza una carta vini generosa e assortita.
Fratello del più elegante Langosteria, il Langosteria Bistrot è un ristorante frizzante, conviviale e dall’atmosfera internazionale. Nella zona dei Navigli, glamour e di tendenza, mette al centro di ogni suo piatto il pesce nelle sue declinazioni. Il locale non grandissimo, dai tavoli ravvicinati tra loro, da la possibilità a chi lo scegliere di mangiare, oltre che al tavolo, anche al bancone fronte alla cucina o nel piacevole dehor esterno. Una cucina basata su ricette classiche rivisitate in chiave moderna, qui al Langosteria Bistrot, che propone piatti gustosi e ben presentati, scelti dal menu abbastanza limitato, ma dall’eccellente qualità delle materie prime: la vera forza di tutti i ristoranti del brand. Fiore all’occhiello sono dunque i crudi, nelle versioni al naturale come il sashimi e la battuta, o lavorati come nel caso del tonno rosso alla griglia con scarola strozzata e coulis di pomodoro. Di degno accompagnamento una carta dei vini e champagne molto ricca ed estesa, che si rivela insieme al personale di sala preparato e disponibile seppur a volte distratto, una proposta milanese di ottima qualità e dall’impronta chic.
Una storia di successo ormai ventennale, costruita con lavoro duro, grande professionalità e dedizione, un posto che sembra nato per fidelizzare la clientela. Andrea Provenzani ci sa fare – ama il suo lavoro e trasmette entusiasticamente la sua passione per la cucina – e la formula è azzeccata, assolutamente inclusiva, a tutti i livelli. Si sta comunque bene, anche grazie ad una cucina essenziale e concreta, del tutto priva di orpelli. Si può scegliere di ordinare uno dei tre menu degustazione o di mangiare alla carta: il risultato e la soddisfazione non cambiano. Seppur alcuni piatti risultino un po’ demodé, il risotto alla milanese con midollo e liquirizia è superbo e rappresenta una delle migliori interpretazioni, in città. Molto buono anche lo spaghettone al cipollotto – omaggio al grande Aimo Moroni – che, rispetto all’originale, con la piccantezza in più e un filo di eleganza in meno, non sfigura. Il locale ci piace per il suo non essere affatto “gastro-fighetto”, pur trovandosi a due passi dai luoghi della più intensa movida milanese e per il rapporto qualità/prezzo, assolutamente corretto. In una città dove spesso la forma tende a prevalere sulla sostanza, il Liberty da vent’anni racconta una storia diversa.
Contraste è la table più ludica d’Italia. Qui Matias Perdomo da sempre ha voluto giocare la carta del gioco e far diventare una cena da lui una esperienza intrigante e sorprendente. Il menù del Contraste è giocato su una sequenza di tanti piatti, non ci sono scale di intensità o collegamenti concettuali fra una portata e l’altra se non quella di creare momenti di divertimento e l’effetto sorpresa. La sessione degli amuse bouche prevede la miniaturizzazione di alcuni piatti iconici, come la cipolla soffiata, il mosaico con pesce crudo e i noodles di capasanta. Reinterpretazioni stravolgenti di classici della cucina milanese come la cassouela, presentata come moneta da inserire in un salvadanaio o la cotoletta, composta di strisce alternate di carne e sedano rapa. C’è anche la cucina romana, con la cacio e pepe, con l’accostamento delle cozze e la carbonara in sfera. Miseria e nobiltà si confondono sia nella pasta e fagioli con il foie gras sia la pasta “invecchiata” con il caviale. Una pasta cotta per ore poi lasciata a invecchiare per una settimana, messa alla brace, portata al tavolo in un involucro di cera d’api. Maestria assoluta nel trattare le carni, cotture che rimandano al Sud America, amore per il quinto quarto con i tre piatti migliori dell’intero percorso: i rognoncini di coniglio, un chinchulín (pajata) e una animella di cuore di vitello in chimichurri servita a tavola direttamente sulla griglia. Una ottima torta di rose con gelato per chiudere un percorso davvero vario, stimolante e piacevolissimo.
La nebbia a Milano non c’è più da tempo, però questa Nebbia è altrettanto intrigante e divertente, nonché misteriosa. E difatti si tratta di un locale che frequentiamo con assiduità, e che non ci ha mai deluso. I due cuochi, dotati di tecnica e sensibilità, portano in tavola preparazioni apparentemente semplici ma sempre elaborate con una buona dose di tecnica, gusto e precisione. Il risultato? Preparazioni tutt’altro che banali e sempre dotate di uno spunto interessante e originale. Ottimi anche i dolci, nella loro semplicità. Segnaliamo in particolare l’ottima bistecca, di elevata frollatura e cotta alla perfezione, ma soprattutto gli antipasti, da condividere: sono questi la parte più divertente e più ludica. Buoni i primi, meno precisi e più convenzionali rispetto al resto. Nello specifico, la lingua e la trippa di agnello (non perdetevi la versione col kimchi) e poi la succitata bistecca, accompagnata da contorni strepitosi, nonché il loro paté con pan brioche che è ormai signature. Insomma da Nebbia si sta un gran bene, anche per merito di Marco Marone, anfitrione in sala, cortese e disponibile, grande selezionatore di vini originali e non scontati.
Federico Sisti ha fatto centro! Il suo nuovo Frangente, a rodaggio ormai quasi completato, ha conquistato tutti. Con la sua cucina ecumenica ed economicamente alla portata di tutti, si sta ritagliando un prestigioso posto tra i ristoranti più popolari di Milano. Dagli immancabili piatti della tradizione romagnola (strepitose le tagliatelle, i cappelletti – qui serviti con aceto balsamico extravecchio, burro e bottarga di muggine – e le piadine) a golose interpretazioni di piatti di carne e frattaglie: provate la tenerissima trippa al sugo… una bontà, come la sua personale versione della cotoletta, con il filet mignon. Non mancano incursioni ittiche con piatti del giorno pensati in base alla disponibilità che il mercato offre. Il servizio di sala sta pian piano crescendo, mentre la cantina è ancora in divenire. Se trovate posto al bancone, fatevi consigliare dallo chef!
Nel quartiere di Milano, sempre più in sviluppo, di Porta Nuova, c’è Berton, il ristorante di Andrea Berton. La sua cucina dello Chef è leggiadra, armonica nello stile e nel gusto con finestre che si aprono su altri continenti. Gli amuse bouche introducono al mondo di Andrea Berton con i tamales, ripieni di pollo e verdure, con il coriandolo piacevole protagonista. L’idea dell’accompagnare i piatti con una componente liquida, declinata in un menù degustazione che da alcuni anni è presente in carta, è decisamente interessante: i ravioli con ripieno di aglio, olio e peperoncino, sono serviti con una bruschetta con cicala di mare, che si ritrova come brodo. Nel dolce abbiamo apprezzato la bevanda di accompagnamento: un liquido con la parvenza di una birra, ma che in realtà è un brodo di limone, caramello e rosmarino, delizioso, che nobilita tutto il dessert. Il calamaro al nero con maionese di pesce e salsa di carota e zenzero, insieme al pre-dessert, sono state invece due portate un po’ sotto le aspettative.