Lo Chef Tommaso Arrigoni -1 stella Michelin dal 2008- ha trasferito il suo locale storico di Via della Bindellina dopo 25 anni di onorato mestiere, in una gradevole palazzina, a due passi dal Politecnico di Milano in zona Bovisa, al cui piano terra ha allestito la luminosa e ampia sala ristorante prospiscente un incantevole giardino zen, nella cui quiete è possibile cenare a lume di candela con la bella stagione e assaporare piatti della tradizione italiana e milanese reinterpretati in una totale rilassata leggerezza. Da Innocenti Evasioni l’offerta à la carte è affiancata da due menù degustazione, ciascuno dei quali con la possibilità di wine pairing: “6 mezze” (costituito da mezze porzioni), e Il “Degustazione”. Optiamo per quest’ultimo, articolato in sei agevoli passaggi, iniziando con il Crudo di gambero del Mediterraneo, asparagi bianchi (un filo coriacei) marinati alla vaniglia e burro di arachidi seguito da gustosi talassici Ravioli di polpo, mozzarella di bufala, concentrato di pomodoro, taccole e brodo di pesce mentre più compito il Trancetto di tonno adagiato su una “terra” di nocciole e cacao, maionese di fave e puntarelle. Assaporiamo poi del Foie gras d’anatra in terrina, composta di frutta, pan brioches e dell’elegante Soffice di Fontina, gelato alle pere e aceto di lampone, julienne di alghe, concludendo la cena con una deliziosa, profumata e fine Sfoglia al burro, banane caramellate, soffice alla pinacolada e polvere di liquirizia. La carta dei vini di Innocenti Evasioni si articola con una raffinata selezione di etichette (circa 300) e un’ampia sezione dedicata ai vini bianchi e rossi nazionali. Un plus per l’opportunità di portarsi a casa la bottiglia eventualmente non terminata al tavolo.
Nell’elegante e pluri “torrato” Citylife District, più precisamente in piazza VI Febbraio, il talentuoso Matteo Mottola, pugliese doc, che vanta in curriculum numerose collaborazioni tra cui anche “Pizzium” e “Gino Sorbillo”, ha avviato con entusiasmo da più di un anno Succulenta, una pizzeria (seguirà a breve un ampliamento di superficie peraltro necessario poiché dotato di pochi posti a sedere) ove assaporare la Pizza contemporanea napoletana, con tanto di soffice ed etereo cornicione in tante golose declinazioni, e appetitosi piatti della tradizione di carne, di pesce e tipici dolci napoletani. Nell’attesa, scegliamo il Fritto di calamari accompagnato da una stuzzicante salsa tartara e un trionfante, extralarge Spaghetto di Gragnano “Amadio” alle vongole veraci cucinato a puntino e allestito con la tipica generosità che trabocca dal nostro prezioso Sud Italia; seguono poi le succulente Diavola (guarnita con pomodoro San Marzano dop, fior di latte d’Agerola, salame piccante, basilico e olio evo) e Cosacca (insaporita da pomodoro San Marzano dop, pomodori del Piennolo del Vesuvio, scaglie di cacio ricotta, basilico e olio evo) nelle quali l’impasto, ad alta idratazione e lunghi tempi di lievitazione, risulta croccante all’esterno, morbido e ben alveolato dentro. Le farciture di entrambe, calibrate con valide materie prime, e il giusto punto di cottura, qui esprimono al meglio la cura appassionata con cui Mottola condisce le sue preparazioni. Per terminare il pasto, in carta Babà o Pastiera in perfetto stile partenopeo oppure Cheesecake e frutta di stagione a volontà. La carta dei vini di Succulenta è piuttosto esigua e offerta di qualche birra alla spina.
In una tranquilla via della zona Navigli di Milano, Nebbia è una rinomata seppur giovane insegna che indossa il nome del fenomeno meteorologico un tempo imprescindibile e intrinseco la vita di tutti i nostalgici meneghini. Qui, come avevamo già visto, felicemente a discapito dell’appellativo impiegato per identificare questo ristorante, la cucina, diretta dai due soci chef Federico Fiore (in curriculum varie collaborazioni tra cui con Cesare Battisti presso il Ratanà) e Mattia Grilli (militanze al ristornate Armani e al Rovello 18), ha un orientamento molto nitido e concreto, per nulla rarefatto, che sa impiegare, con mano elegante e visus contemporaneo, materie prime peculiari, ma in genere meno valorizzate (vedi le tante frattaglie nel menù di Nebbia) che, negli antipasti, toccano il loro vertice espressivo. Tra gli antipasti risultano ruspanti e saporite le Merguez (salsicce di montone) servite con cavolo e salsa piccante di Habanero, etereo il Baccalà mantecato accostato a delle falde di peperone arrosto adagiate su una stuzzicante crema fumé. Tra le entrèe, di spicco anche gli ormai celebri e spumosi Fegatini su pan brioche e cipolle caramellate. Tra i secondi, di Federico Fiore e Mattia Grilli, si distingue il Baccalà all’olio, purea di patate e funghi (il piatto migliore) dall’accattivante nota “umami”, seguito di un soffio nella valutazione, dalle appetitose Seppie cotte con il loro nero, dadolata di seppie crude su una purée di cavolfiore e crostigliante cavolo nero “on top”, confluenti in un abile esercizio di consistenze, cotture e sapide intonazioni. Dulcis in fundo, il Semifreddo con mousse al caffè, di note espressione stilistica, conclude questa piacevole sosta allietata anche dal gentile operato di tutto il personale di sala. La carta dei vini di Nebbia è ristretta, ma lodevole per la scelta di etichette non scontate e per l’orientamento contemporaneo verso le produzioni naturali.
Curioso come la nuova residenza milanese di Pino Cuttaia possa a tratti esser quasi considerata più “cuttaiana” di quella della casa madre, a Licata. Si tratta, ovviamente, di una boutade, fatto sta che la profilazione di ciascun piatto, il lavoro di lima applicato sul gusto e sull’enciclopedia di riferimento, che per Cuttaia è e resta la cucina domestica, raggiunge qui la sua acme. uovodiseppia Milano, nella sede di via Ariosto, si trova all’interno dell’Ariosto Social Club: un nuovo modo di vivere Milano concepito più come una residenza per soggiorni di breve o lungo periodo che come un hotel. E proprio una residenza, nel senso più domestico del termine, ovvero da intendersi come dimora della Nuova Cucina Italiana è questo uovodiseppia Milano, che estremizza la cucina della memoria dell’italiano contemporaneo. Gli ingredienti, pochi, afferiscono tutti a un universo affettivo che è sia familiare e privato che nazionale e collettivo facendosi, pertanto, più che rassicurante: consolante. È la cucina delle nonne e delle mamme d’Italia, nonché l’esatta confutazione della massima nazional-popolare che ancora dice, a proposito dei piatti della tradizione, “questo lo fa meglio mia mamma… quest’altro mia nonna, mia suocera…” e così via. Ecco, no, lo fa sempre meglio Pino Cuttaia: sia che si parli di un piatto di Spaghetti al pomodoro che di un Uovo al tegamino per non parlare, poi, della splendida entré, dedicata al gesto nazional-popolare per antonomasia: la scarpetta.
A pochi passi da Brera, nella parte meno congestionata e più quieta della Via Moscova, ci accoglie Horteria, piacevole ristorante in attività dallo scorso ottobre 2022, fratello di quello avviato cinque anni prima a Mirano, anch’esso germogliato dalla passione di Giorgia Codato per la buona cucina e il rispetto rigoroso verso la stagionalità degli ingredienti vegetali che giungono in larga misura dall’orto di famiglia. Esordiamo con il menu degustazione articolato in sei portate assaporando una vivace Vignarola composta da favette, piselli, carciofi (esemplari) e tocchetti di “guanciale” vegetale trompe-l’oeil” di rapa di Chioggia e a seguire un divertente Puledro sgombrato – rivisitazione giocosa e ben riuscita del consueto Vitello Tonnato – ove il puledro taglia il traguardo vincitore galoppando in una vivace salsa di sgombro affumicato, taccole fermentate e miele acido. Giungono poi, tra i primi, il Risotto mantecato all’olio riserva “Domus Salerno”, bruscandoli e crema di mais tostato presentato purtroppo però in una versione extra large poco consona ad un menu degustazione e dei succulenti Ravioli alla granceola, canocchie, gamberi rossi e loomi, irrorati generosamente al tavolo con dell’olio alla bisque; chiudono i secondi , l’Horto – piatto signature fortemente desiderato dalla padrona di casa Giorgia – allestito con un assortimento di verdure cotte, crude e fermentate provenienti dal campo di sua proprietà e il trancio di Nasello accompagnato da foglie di tarassaco e fagiolini. Terminiamo questo piacevole intervallo con la Bavarese al popcorn, gelato alla patata e vaniglia e spugne alla noce moscata. La carta dei vini di Horteria sorprendente per l’ottima varietà e l’accurato orientamento verso il mondo Bio.
In piazzale Cantore, un po’ al riparo dalla caotica zona Darsena, alloggia da qualche anno questo soffuso ristorante al cui interno si trova un divertente e peraltro unico Centro di Depurazione del Mollusco presente in Lombardia, dove cozze, vongole, ostriche e altri saporiti frutti di mare vengono depurati per poi essere fruiti magari, con un pizzico d’immaginazione, come ci si trovasse pieds dans l’eau, sotto il cielo di Bretagna. Da Brutti di Mare, in lista ovviamente grandi assortimenti di coquillages: debuttiamo con una proposta di sei tipologie di gustose ostriche servite con dell’ottimo pane fritto nel burro e uno “shot” di Gin e una Degustazione di molluschi consistente in un’offerta di pelose, vongole, fasolari, tartufi, cannolicchi, pungenti limoni di mare ove sfortunatamente tutti i frutti sono risultati un filo troppo scarni e concludiamo gli antipasti con dei Moscardini scottati, puntarelle piccanti, crema di carote e miso. Vivificante, talassico il giusto e “al dente” lo Spaghetto all’astice seguito da Cappesante scottate, cavolfiore agro in doppia consistenza e riduzione di soia. Concludiamo la cena con detergenti sorbetti alla frutta ma si può optare per altre classiche golosità quali lo Zabaione brutto ma buono, il Tiramisù scomposto e la Torta di mele e crema pasticcera. La carta dei vini di Brutti di Mare è improntata essenzialmente su vini bianchi e bollicine con qualche offerta di rosso.
In zona Repubblica a due passi dalla Stazione Centrale, in via Vittor Pisani alloggia da qualche tempo, ristrutturato con deciso buongusto ed eleganza, quello che una volta fu un tempio e una gloria della storica ristorazione milanese grazie anche ad un giovanissimo Davide Oldani che lo rese un place to be irrinunciabile della mondanità cittadina e non solo. Come avevamo visto, ad oggi Giannino 1899, con i suoi 120 anni di storia, entra di diritto nella Guida dei Locali Storici d’Italia. Digressioni a parte, entriamo in media res, degustando un opaco e un filo disordinato Hummus di ceci al lime, verdure croccanti, composta al limone, chips di quinoa mentre segue un’accattivante Granchio rosso, mango, su un fragrante gazpacho verde e insalata di puntarelle; giungono poi il Risotto alla milanese “riserva San Massimo” con una saporita, ma eccessivamente sovrastante, salsa di midollo di bue e una nota decisa di iodio alle papille con l’appetitosa Fregola mantecata ai crostacei e miso di riso, gamberi rossi e due secondi piatti di pesce: un’esigua Frittura di seppie, scampi, ricciola alle nocciole e maionese ai ricci e un purtroppo infiacchito, sapido oltremisura, Rombo alla piastra, limone, cavoletti colorati, panna acida e caviale. Completiamo la visita con una gradevole Mousse al cioccolato bianco, gelatina alle fragole, spugna ai pistacchi, sorbetto al lime e basilico. La carta dei vini di Giannino dal 1899 ha proposte enoiche non particolarmente sorprendenti.
Satoshi Hazama sperimenta una cucina kaiseki delicata ed essenziale dove la tradizione nipponica dei piccoli assaggi incontra la qualità delle materie prime italiane. La formazione di Hazama parte da Yokohama, Giappone, e approda a Milano, dove nel 2020 apre il suo locale votato al culto dell’ospitalità: poltrone di design convivono con pareti bianche e tasselli in legno che ricordano i ryokan di Kyoto. Nel pieno rispetto del rituale kaiseki, Hazama celebra la stagionalità della natura attraverso il goho, le cinque tecniche di cottura della cucina giapponese, alternando assaggi al vapore, crudi, lessati, fritti e alla griglia, che ci guidano alla scoperta della sua interpretazione dell’inverno. Nel Sashimi di verdure di stagione, tonno rosso, ombrina, cappasanta e gambero viola la freschezza marina delle eccellenti materie prime si fa esplosiva grazie alla foglia di shiso, ma è la maestria tecnica del taglio “dell’ingrediente” che fa la differenza. Il simbolismo estetico di Hazama offre un’interpretazione poetica della stagione invernale con una composizione di assaggi esaltati da dashi e marinature, impreziosita da una spruzzata di Fleur de Sal: eccellono i Filetti di centrolofo viola alla griglia con scorzonera, la cui marinatura in miso bianco è la quintessenza dell’umami, mentre chiude il menù una Zuppa di miso rosso invecchiato in legno. A pranzo si mangia alla carta, mentre si cena solo con menu kaiseki. Il servizio è curato e attento. La lista vini si limita a una ventina di etichette e una selezione di sake.
A due passi dal tramestio di Corso Genova, in una vietta poco affollata, alloggia da un lustro Hygge, interessante locale ispirato alla sobrietà estetica e del savoir-vivre del Nord Europa che mette in tavola una cucina dai toni schietti, ma non perciò priva di slanci creativi, contemperata da intrecci fusion. Coadiuvato da uno staff preparato si respira la piacevolezza del calore e dell’accoglienza “Hygge” (termine Danese difficilmente traducibile in una sola parola) che qui trova in toto il suo rilassato compimento. Da poco si ha la chance di assaporare per cena (ha iniziato servendo prime colazioni, pranzi e brunch domenicali anche Vegan friendly) piatti ben costruiti, gustosamente sapidi con un’attenzione verso le rifermentazioni e permeata di richiami esotici; debuttiamo con una gustosa Tartare di ricciola che guizza lietamente in bocca tra onde di brodo dashi e flutti piccanti di hongyou (olio cinese di peperoncino moderatamente pungente) e una portata di Carciofi in più consistenze, miso e profumo di vaniglia. Assaporiamo poi il Socarrat (crosticina di pasta e patate volutamente lasciata un po’ bruciacchiare come tradizione Valenciana docet)) insaporita e avvolta da un lembo di lardo; avvince il palato la Razza confezionata nell’alga nori servita con un amaricante pesto di rucola mentre il Pollo alla brace, taggiasche e ciliegie fermentate seppur tenero e succulento, viene penalizzato da una sapidità sin troppo espansiva. Terminiamo il pasto con un Pudding di pane, salsa al tamarillo, brown bread ganache di fine esecuzione. Carta dei vini piuttosto ristretta ma con alcune raffinatezze; interessante la possibiltà di fruire le portate sorseggiando mocktails allestiti dalla casa.
Dry Milano è tra i capisaldi della Milano da “mangiare e bere” grazie anche all’offerta già celebre per la parte mixology che da sempre si affianca il talentuoso side della pizza, condotto magistralmente da Lorenzo Sirabella. Encomiabile è la solidità della proposta di Sirabella in termini di ricerca e tecnica sulla pizza. Il classicismo trova ampia espressione con pizze come la Piennolo rosso o la Quattro pomodori, che sembrano irradiare di sole campano. Tra le proposte più tradizionali, menzione speciale anche per il Calzone con provola affumicata, ricotta e Grana Padano, dall’affondo caseario efficace sia per vigore che per piacevole consistenza. Per i più curiosi, invece, la strada è quella della sperimentazione, che Sirabella approfondisce per esempio nella Cassoeula: gagliardetto lombardo per antonomasia, qui diventa vibrante tra la dolcezza della verza, l’allineamento col fiordilatte e la sapidità della luganega. Un classico del Dry, ma comunque di rilievo, la Ventricina, friarielli e crema di zucca, ma da provare è anche la Focaccia con pastrami, caciocavallo silano e senape dalla golosa farcia, seppur in difetto rispetto alla proporzione dell’impasto che la accoglie. Quanto al dolce, la carta dei dessert langue nonostante l’eccesso zuccherino che alberga, di fatto, nel poco convincente Castagna, pop corn, caramello e caco.