Passione Gourmet Milano Archivi - Pagina 4 di 22 - Milano Passione Gourmet

Il Marchese

I grandi classici della cucina romana nel cuore della Milano della finanza a due passi da Piazza Cordusio. Benvenuti nella sede meneghina de Il Marchese, insegna già presente a Roma – liberamente ispirata al “Marchese del Grillo” – che anche qui a Milano sta avendo un ottimo successo. Gli ingredienti vincenti di questo ristorante sono semplici (ma neanche poi tanto). Il locale vuole riproporre l’atmosfera ricercata dei salotti borghesi dove il marchese Onofrio del Grillo – nella indimenticabile interpretazione di Alberto Sordi – amava tanto trascorrere il proprio tempo libero, e quindi arredi accattivanti, sontuosi, divanetti di velluto e lampadari di cristallo; a cui si aggiungono il cocktail bar e una bella cucina a vista in cui è possibile vedere la giovane brigata al lavoro coordinata dal bravo Daniele Roppo; il servizio è cortese ed efficiente e i tempi di servizio perfetti permettono di fare anche semplicemente un salto per una pausa pranzo di qualità a prezzi più che ragionevoli per il contesto. Da segnalare la presenza di una ulteriore sala più appartata con cucina e cocktail bar riservati per eventi privati con tanto di Chef e barman dedicati. Ultima, ma non ultima ovviamente, la cucina che ci è parsa molto curata. La carta permette un viaggio nella cucina tradizionale romana, ma la proposta è molto varia con incursioni che toccano ma non solo. Noi abbiamo mangiato una Carbonara davvero eccellente – probabilmente ad oggi la migliore mangiata in Città – una Gricia molto buona, ed anche un sorprendente Pesce Sciabola a Beccafico. Degni di nota si sono rilevati sono anche i contorni e le verdure – Puntarelle in primis – che sono cotte e preparate a regola d’arte. La carta dei vini non è ampissima ma perfettamente adeguata al contesto. Da segnalare che Il Marchese è anche Amaro Bar con oltre 600 etichette provenienti da tutto il mondo con cui il bravissimo Fabrizio Valeriani compone cocktail classici e di avanguardia che è possibile provare anche in accompagnamento ai piatti. Un posto di qualità, di cui prendere nota nell’affollato, ma non sempre gastronomicamente curato, panorama della Milano da bere.

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Nel residenziale quartiere di Monte Rosa, a due passi da Piazzale Zavattari, Roberto Cattaneo ha traslocato assieme al cugino Andrea l’insegna che aveva avviato un paio di anni fa in via Mario Morgantini in zona San Siro. Qui quotidianamente, sette giorni su sette, nasce e si sforna il Panattonin, un panino gourmet dalla trama burrosa e aerea concepito con l’impasto del panettone a doppia lievitazione (dalle 56 alle 72 ore) con l’aggiunta di zucca e miele, imbottito a dovere con ingredienti sia dolci sia salati della tradizione lombarda. Ne è esempio il succulento Panattonin con la Schinca del nimal, composto da stinco di maiale al forno morbido e umido, sfilacciato e irrorato dalla sua salsa e cavolo cappuccio sottaceto, dove viene bene compenetrata la soffice dolcezza del pane con la sapidità della sua carne e l’agrezza croccante dei suoi condimenti. In carta non solo panini gourmet (declinato in 19 versioni) ma anche una vasta scelta di pietanze della schietta memoria regionale che affonda nella tradizione, nella scelta e nel rispetto delle materie cucinate con passione attraverso marinature e cotture a bassa temperatura; proseguiamo così con degli ottimi Mondeghili in versione sferica, teneri e fritti alla perfezione, accompagnati da salsa verde, mentre delude il Baccalà mantecato accompagnato da bocconcini di polenta fritta e salsa al ribes, per la lassità un po’ acquosa del composto. Seguono la confortante, abbondante e saporita Busecca, trippa di vitello alla milanese con fagioli bianchi di Spagna, servita in una bella ciotola calda e El Brasaa’, brasato di manzo al San Colombano rosso doc. Chiudiamo la visita col Panattonin tiepido colmato da una golosa crema pasticcera, allietati dall’estrema gentilezza del servizio e dalle canzoni in vernacolo dell’indimenticato Nanni Svampa, che fanno simpaticamente distogliere l’attenzione dall’allestimento poco ‘caldo’ e un filo impreciso della sala. Carta dei vini piuttosto ristretta ma con ricarichi equi.

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Mettere insieme con leggera e discreta maestria due profonde culture gastronomiche non è affatto cosa facile. Italiana da una parte, siamo a Milano, Chef italiano, e, Argentina dall’altra, El Porteño Gourmet, stella del sistema di locali della Dorrego Company – società nata nel 1995 per iniziativa di Fabio Acampora e i fratelli argentini Sebastian e Alejandro Bernardez. A dirigere il tutto una “vecchia” conoscenza, Matteo Torretta, Chef dal curriculum articolato e ricco, (Cracco, Cannavacciuolo, Berasategui) chiamato a mitigare ed a tirare fuori il meglio di sé attraverso un percorso di fusione tra le due cucine tale da portare l’asticella del “gourmet” argentino un po’ più in alto; il tutto con ritmo costante ed avvolgente, far avvicinare il pubblico ad un’esperienza gourmet di due paesi indissolubilmente legati tra loro da più di un secolo. È un connubio profondo intenso e verticale tra due cucine che sembrano essersi sempre conosciute, quella argentina e quella più nostrale. Legame di sapori che vede morbidi ma succulenti accostamenti che mettono d’accordo i palati curiosi ed esigenti. Prendiamo il Lomo, filetto alla Rossini in cui si utilizza ottimo manzo argentino che gioca con un letto di spinaci e del vibrante foie gras fresco guarnito con una lamella di tartufo e condito con jus di carne. O la Ceviche qui proposta non di pesce, come cultura sudamericana richiederebbe, bensì di carne, filetto di fassona tagliato sottile e accompagnato da succo di lime, cipolla rossa marinata, pomodoro, peperoncino jalapeño, coriandolo e cristalli di sale Maldon. Ambiente confortevole elegante caldo e curato, servizio puntuale ed una cantina con ottime referenze anche argentine ca va sans dire completa un quadro ricco di colori. I primi assaggi da El Porteño Gourmet hanno convinto e posto le basi per uno crescendo che non tarderà ad arrivare e ad inserire l’esperienza tra le più divertenti in città. Torretta è stato in Argentina a respirare, a vivere, a toccare con mano ingredienti e cultura, siamo certi che questo viaggio lo leggeremo nei prossimi piatti, tanto in superficie quanto in profondità e sarà come un esserci stato anche per noi.

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Dietro il tramestio di via Torino, nel cuore della vecchia città, dalla medesima gestione di Riviera Milano, ha preso vita da qualche mese Via Stampa; bellissimo e luminoso locale ligneo, tutto parquet e mobili antichi, allestito con tavoli ben distanziati, dove si muove lieve il garbato personale di sala. La buona cucina di Marco Guzzetti, cuoco e proprietario poco meno che trentenne, detentore tra l’altro di due aziende agricole in Liguria e Piemonte assieme alla moglie Matilde, è prettamente di estrazione lombarda con divagazioni sabaude e serve in tavola valide materie di piccoli produttori locali. Iniziamo con degli sfiziosi e filanti Sciatt di grano saraceno adagiati su una stuzzicante insalatina di verza e degli sferici Mondeghili, dall’impasto fine e profumato, sebbene decisamente troppo lasso e cedevole. Proseguiamo con dei Tagliolini del Pastificio Irma di Corso Vercelli, conditi con burro noisette (forse un filo eccessivo), tartare e bottarga di Coregone del pescatore Andrea Soardi che fornisce qui buoni prodotti lacustri. Per concludere la degustazione salata, due Tartare: di manzo piemontese la prima, battuta in una dadolata piuttosto consistente ma piacevolissima al palato, ben condita e malleabile; la seconda, di ricciola, garbatamente talassica e permeata da piacevoli tocchi di zeste di limone che ne alleggeriscono il boccone. Gradevole il Bonet al cioccolato che termina l’intervallo. Interessante e variegata la carta dei vini di Via Stampa, celebra il territorio con anche etichette di Podere del Maro, (piccola azienda vinicola della proprietà che produce all’incirca una decina di migliaia di bottiglie all’anno) e un’ampia sezione di Orange Wine.

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A qualche passo dalla nightlife dell’Arco della Pace in zona Sempione, l’affabile Lamberto Frugoni ha avviato da oltre una quindicina d’anni questa simpatica e sempre accalcata Posteria – luogo tipico della Milano che fu dove si vendevano pane, ‘commestibili’ e vino – dove potere fruire schietti piatti della tradizione nazionale, prevalentemente di matrice milanese e lombarda, accompagnandola a buoni bicchieri. Entrando a La Posteria di Nonna Papera – questo piccolo locale (30 coperti in tutto) che il titolare ha allestito con un caminetto moderno, pietre a vista e un bel bancone dove trionfano salumi, bottiglie e leccornie assortite – veniamo accolti dalla socievole bonomia del padrone di casa che ci illustra le novità del giorno. Menu alla mano, grandi Taglieri di salumi misti di produttori locali (Karl Bernardi e fratelli Billo), Taglieri di formaggi (Vittorio Beltrami di Cartoceto) e Bruschette assortite. Debuttiamo con dei tiepidi e saporiti Crostini di fegatini di pollo alla Toscana in paté conditi con burro, salvia e marsala e a seguire, una gustosa Insalata di nervetti tagliati julien dove purtroppo la cipolla emerge un filo sovrabbondante. Proseguiamo con una appetitosa e succulenta Costoletta di vitello vestita di rucola e pomodorini e assaporiamo poi dello scioglievole Brasato al vino rosso accompagnato da un crostigliante Risotto al salto. In carta, per celebrare la memoria della nostra cucina regionale: Cassoeula, Ossobuco e risotto alla milanese, Risottino al salto, Casoncelli alla bergamasca e Bollito misto ma anche Agnolotti del plin con riduzione di sugo d’arrosto, Pasta all’amatriciana, Cacio e pepe, Parmigiana di melanzane, Trippa alla parmigiana, Tartare di manzo, Tagliata di Angus e via preferendo. I dolci in lista sono coerentemente di estrazione corposa e ‘da credenza’ come Crostata, Mattonella al cioccolato, Strudel e Panna cotta; concludiamo l’intervallo con un corroborante Tiramisù. La carta dei vini de La Posteria di Nonna Papera si presenta piuttosto raccolta ma con un’interessante proposta di produttori locali.

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Nell’accalcata Viale Premuda, a pochi passi da Porta Monforte, la steakhouse Muu House, come il nome lascia facilmente presagire, è orientata prettamente sulla carne di qualità e mette in tavola tagli nazionali e provenienti dal resto del mondo come Spagna, Usa, Argentina, Giappone e Australia cucinate nel forno Josper. Il locale, piuttosto raccolto, si compone di due sobrie salette e un dehors con un gran andirivieni di giovani e solerti camerieri, musica soft come sottofondo e fiori freschi sui tavoli spaziosi ben distanziati tra loro. Debuttiamo con delle sfiziose Crocchette di Patanegra e di patate, accompagnate da una stuzzicante salsa di peperoni arrostiti che ne alleggerisce e ne allunga il gusto, salsa aioli e petali di Patanegra 36 mesi, segue una divertente Degustazione di tartare per il tavolo composto da 10 mini bocconi di carne di Fassona allestiti con condimenti vari (all’Antica con capperi, scalogno, tuorlo d’uovo e senape in grani; al Tartufo nero; alla Burrata e pistacchi; Pomodoro e crumble di olive nere: Fiori di Zucca e caviale di aceto balsamico; quest’ultimo, forse tra tutti, il più interessante). In lista, anche due grandi classici della tradizione: Risotto allo zafferano mantecato con guancia di vitello brasata e Cotoletta di vitello accompagnata con una insalata di rucola e pomodorini; poi Pappardelle con ragù di Chianina tagliato a coltello e Paccheri di Gragnano con sugo ai 3 pomodori, burrata pugliese e pistacchio. Per i non appassionati della carne qualche piatto di mare alla brace come il Polpo in doppia cottura, servito con crema di sedano rapa e asparagi grigliati, Salmone marinato al whiskey, senape, miele e purè rustico di patate e infine Astice aromatizzato al burro, aglio e limone. Dalla griglia, (in carta Picanha di Black Angus australiano, diaframma di Black Angus Usa, New York steak di Wagyu australiano, filetto di Fassona Piemontese, filetto di Rubia Gallega), scegliamo una succulenta e malleabile Rib eye di Black Angus USA di circa 350 grammi che raramente dimenticheremo, mentre delude il Filetto, cotto non ‘bleu’ come richiesto e nappato da una salsa al pepe verde decisamente troppo lenta, mentre consolano le ottime patate alla brace. Peccano i dessert non di propria produzione e la carta dei vini di Muu House ha un’offerta piuttosto esigua.

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Nella zona trendy e nottambula della Bullona, vicino a Corso Sempione, Andrea Griffini, Sommelier AIS con pregresse esperienze presso altre rinomate insegne della città quali Nobu e Cocciuto, ha avviato lo scorso 7 ottobre assieme al socio Andrea Zarra, ingegnere appassionato della buona tavola, Tow – the odd wine, raccolto ristorante e wine-bar – 35 coperti in tutto con il soppalco ma che tra poco saranno incrementati da un dehors- dove assaporare sfiziose Tapas per accompagnare ottime proposte, al calice e in bottiglia, di vini naturali e non affatto convenzionali, ponendoli come assoluti protagonisti di una carta che affianca etichette di produttori storici a realtà contemporanee e indipendenti. Tra le varie Tapas, debuttiamo con una gustosa Zucca hokkaido, portobello, fonduta di gorgonzola e noci; seguono la succulenta Pancia di maiale innervata da una super golosa salsa Teriyaki, cipollotto e jalapeno; tenere e umide quanto basta le Croquetas di pollo sigillate da una fragrante impanatura e insaporite da della maionese allo jalapeno; giunge poi il Tentacolo di polpo piastrato su una deliziosa millefoglie di patate e salsa srirasha, mentre il Baccalà, erbette, salsa di yuzu e pinoli, stanca e asciuga il palato per l’eccessiva tenacia delle sue carni alla masticazione. Tra le cinque Lievitate presenti in menù (Burrata, ‘nduja e cime di rapa; Zucca, salsiccia, amaretto, riduzione al Porto; Pesto, zucchine, caprino mandorle e limone; Olio, timo e rosmarino), scegliamo quella Crudo, stracciatella e confettura di fichi connotata da un impasto ben eseguito e digeribile sebbene penalizzato dall’aridità del salume impiegato. Tre i dessert che completano l’intervallo: Tiramisù, Ananas e riduzione al Porto e Goccia al cioccolato, namelaka bianca, fichi e loro confettura; carta dei vini, come anticipato, degna di nota anche per l’attenzione verso nuove realtà enoiche e altrettanto valida l’offerta di cocktail.

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Sul Naviglio Pavese, il caos cittadino è così lontano che sembra di essere fuori Milano. Qui, nel 2018, tre giovani amici hanno fondato DistrEat una formula giovane e moderna di ristorazione a tutto tondo, dalla prima colazione, fino al dopo cena nel segno della condivisione e di una cucina classica, lineare e ben eseguita. Si parlava di condivisione ed in effetti DistrEat, da questo punto di vista è un luogo, assolutamente originale se si spensa che condivide i suggestivi spazi esterni con una nota agenzia di comunicazione internazionale con la quale organizza, non di rado, eventi nel segno del bon vivre. A guidare la cucina due dei tre soci fondatori: Federico Sordo e Andrea Tirelli.

Federico Sordo e la milanesità

Federico Sordo, in particolare, ha frequentato le cucina di Sadler e Oldani prima di lavorare da Cesare Battisti al Ratanà, posto nel quale ha incontrato Tirelli, decidendo poi di fondare un luogo tutto loro nel quale esprimere liberamente la propria concezione di cucina. Ci vuole poco a rendersi conto che qui l’attenzione alla materia prima non è uno slogan, ma è il frutto di un’accurata selezione fondata sul rapporto diretto con tanti piccoli produttori, soprattutto lombardi, i cui prodotti, peraltro,  sono anche in vendita presso la dispensa del ristorante. La cucina è un po’ ristorante gourmet ed un po’ osteria moderna. Oltre alla Carta, c’è un menu degustazione di 5 portate che cambia ogni tre mesi ed una sezione dedicata agli Irriducibili, i signature dish degli chef. Noi abbiamo pescato alla carta un interessantissimo Finto sashimi di barbabietola, salsa ponzu, maionese all’acciuga, yogurt al rafano, semi croccanti e finocchietto, piatto “umamico”, non privo di una bella nota terrosa data dalla barbabietola, che racconta molto delle capacità dei due giovani cuochi. A seguire dei rustici Ravioli del plin ripieni di salsiccia, cipolla e stracchino, stracciatella di bufala e lime. Quindi dalla sezione irriducibili abbiamo pescato una Guancia morbida di Mora Romagnola, purè di patate e salsa alla cacciatora semplicemente lussuriosa. Piatto perfetto, una carezza per il palato. Meno interessante il dessert, un Babà al Rum, namelaka di castagne e salsa di cachi davvero non irresistibile. Un posto in cui si sta bene e si torna volentieri.

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Nel quartiere Isola, nei pressi di Piazzale Segrino, la brava e capace Silvia Tasca, nativa di Marostica, figlia di Veneziani doc di Rialto, ha avviato da poco meno di tre anni la nuova versione del Bacaro: Tàscaro, allestito in Porta Venezia nel 2019, poi trasferitosi perché bisognosa di più spazio; cambio che peraltro ha giovato al locale donandogli una maggiore incisività. Rosso veneziano –ça va sans dire– alle pareti, pavimento ‘optical’ di piastrelle bianche e nere e una grande lavagna appesa (che funge da Carta dei Vini) dalla quale scegliere tra tante etichette (bollicine, bianchi e rossi), tutte fieramente battenti bandiera euganea; bella e splendente la vetrata dalla quale rimirare la cucina, bancone, tavolini e sgabelli sui i quali accomodarsi per un’ombra de vin e quasi commovente il banco pittoresco, per servire i cichèti con affaccio su strada, che ci trasporta direttamente in Laguna. Tanti i Tascari assortiti (versione di Silvia del tramezzino preparato con lievito madre del Forno Ciopa, sempre della proprietà), Boconsini e Piatini (bocconcini e piattini) a volontà: dal cuore morbido le Polpettine di quattro tipi di carne (manzo, pollo, vitello e maiale) e dall’egregia panure; aggraziato e aereo il Baccalà mantecato, adagiato su della polenta gialla abbrustolita; superbo il boccone della Capasanta, servita nella sua conchiglia, scossa da un aromatico olio alla arancia; conforta lo spirito la Trippa in umido insaporita con Grana Padano; stuzzicanti e teneri i Moscardini affogati. Poco invasivo e un filo tenace il Fegato alla Veneziana su polenta bianca abbrustolita, mentre le Sarde in Saor, freschissime, sono forse poco guizzanti al palato. Terminiamo con un elegante e profumato Ciliegino, liquore di produzione della Casa. Carta dei Vini proposta e riassunta, come detto, nella lavagna e di matrice mono regionale, declinata al calice e in bottiglia. Grandiosa la versione degli Spritz più innovativi, creati con vermouth, liquori e bitter, a partire dal Select, tutti di matrice veneta.

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Nella signorile e residenziale ex zona Fiera, ora Citylife, Alessandro Borghese, cuoco e comunicatore tra i più originali, nel 2017 ha dato vita al suo bel ristorante sito al piano primo nel palazzo ideato da Giò Ponti, ove celebra “il lusso della semplicità” con un menù incentrato sull’Italianità e sull’ingrediente. Accediamo alla grande sala ristorante con motivi di arredo anni Venti, allestita da una cinquantina di coperti e rischiarata da una piacevolissima illuminazione ovattata, ove il personale sollecito (un plauso all’intera squadra) ci accoglie sorridente per farci accomodare al tavolo; un plus, la presenza di un Private Living, una sala multifunzionale equipaggiata con una cucina indipendente, ideale per occasioni ed eventi privati. Tra le varie opzioni disponibili in carta, scegliamo il menù degustazione “A mano libera” dello Chef articolato in sette portate: apre le danze del Tonno crudo dello Ionio, guacamole, emulsione di pomodoro e cialdine di pane carasau; segue il succulento e malleabile Spiedino di scottona irlandese innervato da una deliziosa salsa barbecue affumicata, accompagnato da pomodoro e cetriolo barattiere dal perfetto effetto rinfrescante; piuttosto opaco e senza verve il Risotto Carnaroli, primo sale, polvere di barbietola e asparagi mentre vivifica il palato il piatto signature del cuoco lo Spaghetto Armando Cacio&Pepe; terminiamo la degustazione dei piatti salati con il ReAle di vitello (da sussulto) cotto a bassa temperatura, ripassato alla piastra con insalatina delle piane, prugne e il suo fondo. Cannolo siciliano ricolmo di ricotta e un fiacco Cremoso di cioccolato al latte e frutti di bosco completano la sosta. Al ristorante di Alessandro Borghese la carta dei vini risulta piuttosto densa di etichette interessanti con un’attenzione particolare a produzioni nazionali e perfettamente coerenti con l’essenza del locale.

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