Passione Gourmet Milano Archivi - Pagina 14 di 22 - Milano Passione Gourmet

Bentoteca

Milano rappresenta da sempre un luogo in cui tradizione, innovazione e la fusione di differenti culture danno vita a nuovi e interessanti progetti. Bentoteca, inizialmente avviato come delivery durante la pandemia, con il tempo si è trasformato in un vero e proprio ristorante. Alla guida troviamo lo chef Yoji Tokuyoshi, il quale propone un cucina di fusione tra Giappone e Italia. Si spazia da piatti a base di pesce crudo, al ramen, al sushi e sashimi, e a pietanze tradizionali giapponesi con influenze italiane. Ma il vero pezzo forte sono gli Sukiyaki udon e il Kama barbecue. Il primo è un ramen con brodo di manzo che si fregia di udon fatti in casa e della complessità della nota calda di sottobosco apportata dai funghi shimeji. Un piatto magistrale, che rappresenta la complessità della semplicità. Il Kama barbecue, o collare di tonno, è un susseguirsi e rincorrersi di sapori che spaziano dal leggero sentore affumicato della cottura al barbecue, al koshu che ripulisce il palato con la sua acidità e piccantezza e, infine, la salsa yukke, a donare sapidità e umami. Ci troviamo di fronte a una cucina dinamica che fa di autenticità, tecnica, precisione e semplicità i suoi punti di forza. Altrettanto, nella sala sempre attenta e sorridente, si ritrova la giovialità e semplicità della cucina. Unico difetto, forse, la sezione dei dolci, dall’impronta poco personale. La carta dei vini, non vasta ma ben costruita, custodisce all’interno qualche etichetta di piccoli produttori con un focus sui vini bio-dinamici e con ricarichi che risultano in linea con città come Milano. 

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A La Pesa, trattoria dalla cucina orientata quasi esclusivamente alla tradizione milanese, si respira aria di casa, data anche dal servizio sorridente e premuroso.

Il locale, piuttosto ridotto di dimensioni, è arredato con cura in una piacevole veste verde salvia chabby-chic composto da una sala principale ed una più riservata, con tre tavoli. Tra gli antipasti della tradizione possiamo trovare: la Tartare della Macelleria Oberto, il “Tagliere tipico” – composto da gnocco fritto pancetta, coppa, salamino, cipolline borettane stufate ed eccellenti nervetti con il giusto “nerbo” in insalata – , i gustosissimi “Sciatt” farciti con taleggio fuso e i Mondeghili fatti, invero, a guisa di piccole sfere, rielaborati nella forma e non nella sostanza, accompagnati da una salsa di pomodoro agrodolce che ricorda la rubra. Tra i piatti principali segnaliamo l’immancabile “Oss Büs” – Ossobuco di vitello servito con riso giallo – “Il Salto” – Riso giallo saltato in padella, Rognoncino di vitello trifolato con purea di patate. Un’ottima proposta divergente dalla classica carbonara di estrazione romana è lo spaghettone quadrato “Pastificio Mancini” cotto “al dente” con guanciale croccante e una crema di zafferano, al posto delle uova, per celebrare ancora una volta la milanesità. Una delizia! La Busecca alla milanese con fagioli bianchi, invece, seppur preparata impiegando buone materie prime, risulta piuttosto carica di olio che ne sminuisce l’essenza prevalendo sul piatto.

La carta dei vini, in linea con le proposte del menu, si completa con un paio di birre artigianali.

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Nel piccolo spazio di via Lambro, in una zona di Milano popolata di numerosi locali, Bites è una voce fuori dal coro. Sedici posti, otto nei 4 tavolini e otto al bancone, per un’esperienza che invita alla condivisione e permette alla sala di prendersi cura del cliente da vicino. I piatti sono bocconi, morsi, appunto “bites”, in maggior misura completati al banco, che rivelano le tecniche apprese dallo chef Pietro Zamuner e da Andrea Baita, già colleghi di brigata al Seta e al 28 posti. Il format nasce dall’esperienza di Zamuner fatta al Faviken e dai viaggi fatti in Oriente, della cultura dell’“omakase”. Da Bites la cucina lavora con cotture esclusivamente alla brace, dove gli ingredienti spiccano nelle note acide, dolci, e umami delle fermentazioni, delle salse alla francese e delle lente marinature. Ottime materie prime elaborate nel massimo rispetto come il pesce, ad esempio in capasanta, cavolo cinese, burro allo zenzero e ikura. I primi di pasta, seppur assenti, sono sostituiti da altre proposte a base di carboidrati come l’ottimo french toast con carne cruda, anguilla arrosto e rafano,o il Katsuosando con brasato di guancia e salsa di sottaceti. La scelta tra due degustazioni, da sei o dieci “bites” a 48 e 78 euro, e la possibilità di integrare con piatti selezionati dal menù rivelano tutta l’essenza di una cucina di gusto e dalle influenze orientali. La carta dei vini, ristretta ma ben selezionata, pone l’accento sui vini biodinamici e da proposte di drink pre-batch.

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Giulia è la cuoca di origini pugliesi che da vent’anni è al solido timone di questo piacevole ristorante di pesce in Piazza Gramsci.

Il locale accogliente e dai lignei interni si correda di un ampio dehor prospiciente l’insegna. Ad accoglierci è Mania, la moglie del cuoco che affianca la madre Giulia in cucina, con un gustoso benvenuto della casa: focaccine tiepide al pomodoro. Altrettanto fragrante è il pane, ben assortito e fatto in casa.

Tra la vasta scelta tra antipasti freddi e caldi, spicca il Plateau di frutti di mare a crudo, dalla materia prima freschissima e variegata. Ben fatte inoltre le Alici all’ammiraglia, e la Tartare di tonno viene servita con verdurine in brunoise, insalata mista, arance e limone. Le polpettine di tonno leggermente fuori standard, seppur siano gustose, perdono di sofficità, risultando asciutte. Menzione va fatta per i primi, dove le paste, rigorosamente fatte in casa, sono realizzate con farina di semola di grano antico e biologico come nel caso dei maccheronici al ferretto con un saporito ragù di polpo di scoglio. Tra i secondi l’abbondante fritto misto di calamari, gamberi e verdure si forgia di un’ottima e croccante panatura, mentre la parmigiana di pescespada e melanzane risulta succulenta e gustosa grazie alla salsa di pomodoro che la guarnisce. Conclude il pasto un ottimo cannolo farcito di ricotta fresca di Castelvetrano e pistacchi. Completa l’esperienza una carta dei vini ben orientata ad una selezione nazionale non banale.

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Da oltre trent’anni, il ristorante Rembrandt, è noto per l’ottima proposta di carne, fratello del più noto Ribot.

Qui, il proprietario, di origini sarde, e l’intero staff accolgono in una sala piacevole arredata in stile “Club House”, dove le calde luci delle appliques rendono l’atmosfera soft e rilassante. Oppure si può scegliere di rifugiarsi nella saletta più appartata e contornata di svariati libri. Una certezza dunque trovarsi bene, peccato che questa volta la cucina non sia stata all’altezza delle aspettative.

Tra gli antipasti l’insalata di nervetti con cipolle rosse non spicca per originalità e gusto, mantenendosi abbastanza ordinaria, e il prosciutto crudo sardo pecca di mancata morbidezza. Nel menù segnaliamo qualche primo e vari piatti di pesce per chi non prediligesse la carne. La Fiorentina, accompagnata da spinaci ripassati con peperoncino e patate chips, si conferma però succulenta e tenera. Tra i secondi di carne non mancano costate, Rib-eye, filetti, tartare e hamburger. I dolci spaziano da semifreddi ai dessert al piatto quali la cheesecake e la sfogliatella con crema chantilly e fragole. La carta dei vini esibisce qualche bottiglia di cantine importanti e i prezzi, nell’insieme, risultano corretti.

Confidando che questa leggera défaillance sia stata solo un attimo di incertezza dopo anni di stop and go causa pandemia, faremo nuovamente ritorno fiduciosi di ritrovare quella verve che animava il Rembrandt, sostando magari nel dehors nella bella stagione.

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Era il 2007 quando Enrico Buonocore aprì la Langosteria 10, in via Savona. Dopo quasi vent’anni quel piccolo bistrot in stile parigino ha avuto una stupefacente mutazione trasformandosi in una delle più autorevoli insegne del panorama della ristorazione cittadina. Oggi il gruppo Langosteria conta ben sei insegne tutte di grandissima affidabilità e differenze tra loro. L’ultimo nato, Langosteria Cucina, condivide le stesse mura dell’insegna ammiraglia. Gli ambienti, dai torni scuri, hanno luci soffuse e tavoli ravvicinati. A differenza degli altri locali, vengono serviti piatti di nuova concezione che, in un secondo momento, troveranno spazio anche negli altri ristoranti del gruppo. La brigata di cucina è guidata dallo storico chef Denis Pedron che si aggira anche tra i tavoli per completare alcune portate direttamente davanti ai commensali. I crudi sono il must, come l’eccellente carpaccio di tonno rosso e salsa tonnata; tra gli antipasti cotti ricordiamo molto buoni i calamaretti spillo all’assassina, piccanti al punto giusto. Il piatto principale, lo chateaubriand di cernia nera alla brace presenta una pregiata materia prima ma è leggermente oltre il punto di cottura perfetto. Non c’è una carta dei dessert ma vengono serviti un pre-dessert e un dessert. Nel nostro caso ci sono stati serviti un sorbetto e un’ottima torta della nonna. I prezzi sono molto alti sebbene la qualità sia fuori discussione. Completano il cadre l’imponente carta dei vini, con un focus particolare sugli champagne, una lista di cocktail studiati appositamente e un servizio informale e accomodante.

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In zona Piazza della Repubblica, troviamo lo chef Federico Sisti nel suo ristorante Frangente. Come un’onda che si infrange sugli scogli venendo dal mare, i suoi piatti portano richiami ad altre culture, sapori frutto di contaminazioni tra l’Italia e l’Estero. Una proposta gastronomica chiara, che vede protagonisti i piatti della tradizione rivisitati con un tocco di inventiva e modernità. Il menù, non eccessivamente esteso, si fa notare per i piatti dai gusti precisi come i gustosi e ben realizzati mondeghili alla milanese con salsa agrodolce. Le tagliatelle al ragù di vitello, invece, risultano buone ma leggermente evanescenti e non del tutto concentrate nel sapore. Spicca inoltre il piccione, sedano rapa e pepe verde: di carattere e bene concepito. Frangente ha cucina che conquista, che mette al centro le materie prime e che può vedere ingredienti ittici a seconda della disponibilità che il mercato ha da offrire. L’atmosfera del locale, rilassata e conviviale, è perfetta per una cena tra amici. Il personale ben preparato e disponibile, accoglie gli ospiti e conduce al tavolo o, a scelta, al bancone sulla cucina a vista che permette di osservare le sapienti mani dello chef all’opera. La carta dei vini, seppur non troppo estesa, è costellata di vini interessanti e si completa con una notevole scelta fra gin e sakè. Sincerità in cucina e altrettanto nei prezzi corretti.

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Tre le aperture di questo progetto imprenditoriale, rispettivamente in Via Bergognone, Corso Lodi (Porta Romana) e Via Melzo. Cocciuto è un format che mette al centro la buona pizza in locali di stile industriale, con mattoni a vista e dettagli ricercati. Le luci soffuse e il profumo inebriante pongono le giuste basi per assaporare l’offerta di pizze e i piatti che spaziano dalla tradizione italiana, come la pasta, agli hamburger ed ancora, le tapas – anche in versione vegan – fino alle modaiole poke. “Cocciuto” è proprio l’appellativo di chi si ostina a portare avanti una ricerca fatta di materie prime di piccoli produttori, ingredienti biologici e a km zero, e presidi Slow Food. Il menù, in continua evoluzione e che segue la stagionalità degli ingredienti, propone, dunque, non solo pizza. Una ventina quelle tra le quali scegliere, dalle più tradizionali, come la Margherita o la Bufala – entrambe anche nella versione “Cocciuta”- alla più fantasiosa Capocollo, con l’omonimo affettato di Martina Franca Presidio Slow, o la Pistacchiata Provolata, con pistacchio di Bronte, mortadella Bonfatti e provola affumicata. L’impasto soffice e leggero, dal cornicione alto alla napoletana, è ottenuto da un blend di farine e da una doppia lievitazione di almeno 30 ore grazie al lievito madre. Da abbinare alle pizze, ma anche agli altri piatti del menù, si può scegliere tra una selezione di birre artigianali, vini da piccole realtà produttive e drink. I prezzi vanno dai 7 euro della Margherita fino ai 16 euro delle pizze più elaborate, rientrando nella media della proposta milanese, seppur un pò elevati.

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Di recente apertura, Pari Passo è un grazioso locale nei pressi della movida meneghina di Porta Ticinese. L’idea che anima questo fast-food è quella di un asporto con poche e intelligenti proposte che possono anche essere gustate al bancone e in versione delivery direttamente a casa. Si sceglie da un menù ristretto fatto con ingredienti di qualità tra pietanze che vanno dal mare alla terra e proposte vegetariane; per tutte le creazioni c’è l’opzione di gustarli al piatto oppure all’interno di un soffice panino. Ben fatto il tataki di tonno con maionese alle spezie accompagnato da zucchine alla scapece, fresco e bilanciato l’avocado burger, in una versione originale con coriandolo, pomodoro datterino, ravanelli e lime. Dal sapore deciso e appagante invece il panino con sfilacci di galletto, ketchup di peperoni, melanzane panate e formaggio fuso, così come le patatine 3.0 (ovvero dalla tripla cottura) che meritano sicuramente l’assaggio. Completa l’offerta una piccola selezione di birre artigianali. Pari Passo si rivela perfetto per una piacevole sosta per una pausa pranzo o una cena veloce e informale.

A coronamento della lunga esperienza della famiglia nel settore della ristorazione, nel 2002 nasce il ristorante Rovello 18. Ad istituire il locale, situato in un bellissimo stabile d’angolo in zona Foro Buonaparte, sono Cinzia Rossi e Gualtiero Panciroli, oggi sostituito da Michele, il giovane figlio di lei. Un’attività iniziata a Milano già dai nonni di Cinzia negli anni ’50, che oggi giunge dunque alla quarta generazione con una proposta gastronomica tradizionale e comprensibile, attualizzata attraverso una fresca reinterpretazione in chiave moderna. Il menù, esclusivamente alla carta, propone piatti della tradizione estremamente curati in termini di materia prima e alleggeriti in termini nutrizionali. Dal vitello e i peperoni tonnati, al riso al salto, fino all’immancabile e milanesissima cotoletta, tra le migliori della città. Deliziosi anche i dessert, tra i quali spicca la torta al cioccolato che omaggia la madre di Cinzia. Tutti i piatti sono frutto di tecnica e cura del dettaglio, tanto piacevoli e confortanti che se ne vorrebbe avere una porzione più generosa nel piatto, specialmente per quanto concerne gli antipasti, un po’ risicati. Infine la ricca carta dei vini, una delle più nutrite e variegate di Milano, che, a costi non tra i più economici, permette di scegliere tra le più importanti referenze italiane e francesi. Tutto questo, unito a un servizio giovane, attento e cordiale, rende il Rovello 18 un porto sicuro nel quale rifugiarsi.

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