Nell’oasi quieta del Sud-Ovest milanese, più precisamente a Gaggiano, Daria Lo Giudice e Alessandro Totaro, coppia nella vita e in affari, hanno riavviato da qualche anno il ristorante e bistrot La Bettolina. Ai fornelli, si muove il giovanissimo Chef Domenico Montanaro che impiatta una buona e robusta cucina della tradizione con uno zing di contemporaneità, impiegando, ove possibile, materie a km zero o addirittura approntate in casa. Sostare nelle sere d’estate sotto i tigli nell’ampio giardino è una piacevolezza rara, a cominciare dall’aperitivo che viene accompagnato da tre sfizi: i Mondeghili, dall’involucro croccante e teneri al cuore, insaporiti da una gustosa maionese alla gremolada; l’elegante Crostone di pan brioche caldo, migliore piatto dei tre, arricchito da un ottimo paté di fegatino montato, miele di rovo dell’apicoltura Clerici e scoppiettante salvia fritta; infine il delizioso Vitello Tonnato, decisamente ‘al rosa’, dalla salsa affumicata e abbondante, rinfrescata dal cerfoglio dell’orto. Dalla trama soffice la Focaccia al padellino con lievito madre, condita fetta per fetta, con mozzarella fior di latte pugliese, gorgonzola e pancetta stagionata” La Giovanna” del Salumificio Capitelli e che sorprende all’assaggio per l’equilibrata gustosità finale; mentre un briciolo greve al boccone il Risotto Carnaroli, dell’Azienda Agricola Cascina Casiglio, ai pistilli di zafferano iraniano (connotato da una fragranza senza pari) e midollo di vitello, il tutto mantecato purtroppo con sovrabbondante Parmigiano Reggiano. Stuzzicante il Galletto ruspante, dalle morbide e saporite carni, affumicato al legno di Ciliegio, cucinato alla griglia e fragrante di erbette dell’orto. Terminiamo questo lauto pasto con del ‘Painmensù’: variante gradevolmente più austera e antica del classico Tiramisù realizzato qui come il Pan Meino, letteralmente ‘pane di miglio’, in lombardo, ovvero con farina gialla. La carta dei vini de La Bettolina è interessante per la selezione di tipologie di etichette biodinamiche e naturali; possibilità di fruire anche di mezze bottiglie, oramai purtroppo quasi sempre assenti nelle liste di parecchi ristoranti.
Immersa nel paesaggio campestre a Sud della città, questa antichissima osteria con cento lustri sulle spalle (era l’ultima posta prima di arrivare a Milano) è in assoluto il ristorante più “storico” di Milano e provincia ancora in attività. Approntata in un casale del 1500 allestito con candide tovaglie ed eleganti stoviglie, l’Antica Osteria La Rampina ospita all’interno del suo delizioso giardino un glicine secolare che, in stagione, trionfa inebriando e ombreggiando il cortile. Dal 1973, la cucina è nelle mani della famiglia Gagliardi ove i piatti della tradizione (l’Ossobuco di vitello con risotto alla milanese, la Costoletta, la Cassoeula et alia) sono affidati al padre Lino, mentre quelli più contemporanei che vedono anche protagonisti il vegetale e la materia ittica, al figlio Luca che, nel 2014, Gualtiero Marchesi assunse nella sua brigata de L’Albereta. Debuttiamo con l’ottimo Tris d’ostriche francesi fritte in tempura con salicornia e maionese allo zafferano dal risultato ‘crispy’ e iodato permeate da una leggera punta acida e amaricante del vegetale che ne alleggerisce il metodo di cottura e il Savarin di funghi porcini, crema al cerfoglio e gelato al Parmigiano, che però, non evoca grandi sussulti. Tra i primi piatti, scegliamo i Trucioli di ”Gualtiero Marchesi ” al ragù d’anatra dal potente timbro ‘umamico’ e viscoso; segue una gloriosa Costoletta di vitello alla milanese tradizionale (350 grammi) di altezza media, rosea al centro e dalla crostigliante panatura, mentre meno entusiasmanti le Lumache trifolate con porcini freschi, sovrastate dall’opulente sapidità del fungo. Possibilità di concludere questo piacevole intervallo con una Degustazione di formaggi (Gorgonzola al naturale con confettura di pomodori verdi, Castelmagno e miele di castagno, Grana padano locale e Pecorino toscano) o con diversi dolci al cucchiaio. Terminiamo in leggerezza con un rinfrescante Sorbetto all’uva fragola della casa di cui ancora serbiamo nostalgia. La carta dei vini dell’Antica Osteria La Rampina è importante con una proposta di oltre ottocento etichette tra rossi, bianchi e rosé che riposano nella mirabile cantina cinquecentesca e di recente arricchita dall’inclusione di produzioni biologiche e biodinamiche.
In una quieta vietta, poco distante dal cuore vibrante di Porta Nuova e Piazza Gae Aulenti, in quella che un tempo era una verde campagna, risiede dal 1866 questo storico luogo di ristoro ove gustare classiche pietanze della tradizione milanese e ottimi tagli di carne alla brace nella ampia sala -ristrutturata di recente dai nuovi proprietari Dante e Giuseppe Di Paolo, già gestori di successo del brand A’Riccione – o nel bellissimo giardino, quando il clima si fa più temperato. La cucina di Da Berti è timonata da Fabio Carotenuto, quarantacinquenne di origini partenopee, con molteplici esperienze nel campo della ristorazione, che ha voluto rispettosamente serbare l’identità di questo luogo introducendo solo alcuni tocchi di contemporaneità. Il menù, come anticipato, mette in scena l’intramontabile repertorio della tavola meneghina ove non mancano all’appello il Risotto alla Milanese con pistilli di zafferano, Risotto al “Salto”, la Cotoletta di vitello alla “Milanese” con maionese agli agrumi e patate chips e in versione “vestita” di valeriana e pomodorini. Scegliamo un iter orientato alla carne, esordendo con il Misto crudo dello Chef consistente in due assaggi di Carpaccio di Fassona agli agrumi e di Carpaccio marinato con pomodori secchi e mandorle e tre degustazioni di Tartare: una di Fassona Piemontese battuta al coltello con nocciole, uovo di quaglia e maionese al tartufo, una classica e un’altra di Chianina insaporita da una stuzzicante emulsione di miele e senape, mandorle tostate e sfoglie di Grana. Come opportunamente suggeritoci, concludiamo gli antipasti con un intrigante Tagliere di formaggi “Pre Bistecca” composto da Robiola di Roccaverano con radicchio marinato all’aceto di lamponi, Camembert Cru di Normandia con cavolfiore caramellato al burro, Puzzone di Moena con porro fritto, Toma Occitana con finocchio marinato all’aceto di mele e del Reypenaer con perle di aceto balsamico. Infine, dalla brace, assaporiamo una succulenta e malleabile Costata di Chianina I.G.P. dell’Azienda Agricola San Giacobbe e terminiamo la sosta, con detergenti sorbetti agli agrumi tra cui uno veramente peculiare al Bergamotto di Calabria. La carta dei vini di Da Berti, è di matrice classica con una pregevole offerta di etichette (oltre 800), provenienti da ogni dove, custodite della mirabile cantina sotterranea della antica Trattoria.
La storia delle tavole meneghine passa anche per luoghi che da almeno quarant’anni registrano felici consensi da un pubblico ampio e variegato che, nonostante il susseguirsi delle generazioni, resta fedelmente ancorato allo stesso tavolo per mangiare determinati piatti della tradizione. Dal 1982, nel cuore di Baggio, molti milanese si recano all’Osteria alla Grande. Si tratta di una delle storiche insegne che preservano e tramandano la cucina tipica meneghina, quella sostanziosa, senza fronzoli o compromessi. In ambienti angusti ma accoglienti, tra il fascino caotico di cimeli, quadri artefatti, cornici e oggetti di ogni genere, il patron Roberto, detto lo Smilzo, oste burbero e ironico, e la cuoca Elena, sono pronti a mettere in scena ogni sera uno spettacolo che va avanti ormai da tempo immemore. Ed ecco arrivare in tavola i piatti “classici” come una Cotoletta alla milanese dalla panatura croccante e la carne morbida, tanto celebre e gustosa, uno dei motivi del grande successo di questo locale. L’unica nota che dobbiamo necessariamente segnalare riguarda la carne utilizzata: qui di maiale e non di vitello. Secondo l’oste sarebbe proprio quella di maiale la carne utilizzata nella ricetta originale della tradizione milanese. Su questo abbiamo qualche perplessità che però lasciamo cadere gustandoci con piacere questa variante. Un altro classico da gustare è la Cassœula, se ordinata per tempo, ma anche un Rognoncino trifolato se si è amanti dei sapori decisi. Il Risotto alla Longobarda con zafferano e porcini, poco compatto e mantecato, invece non convince così come qualche contorno anonimo come le patate lesse che accompagnano il rognone. Sono molto validi, invece, i salumi. Tra i pochi dolci fatti in casa abbiamo apprezzato la Torta di pesche (conservate) e cioccolato. Osteria alla Grande è un luogo sincero dove il conto è onesto. Carta dei vini ridotta e servizio solerte. A pranzo c’è un menu fisso a 9 euro.
Nel centro pulsante della “Vecchia Milano” – più precisamente in una suggestiva via pedonale vicino ad antiche rovine di età romana – dimora il ristorante La Brisa nelle cui sale spira una brezza di ovattata eleganza che si riverbera altresì accomodandosi, con la bella stagione, sotto i tigli del quieto giardino in cui peraltro è possibile incontrare Willy, la tartaruga blasé che da tempo immemore vi sgambetta pigramente. Qui lo Chef Antonio Facciolo allieta con menù creativi e ricette della tradizione milanese in chiave più attenuata e moderna, impiegando ingredienti rigorosamente secondo stagione. Per una pausa più agile a pranzo si può optare per un “Menù del Giorno” consistente di due portate a scelta, acqua e caffè, oppure per quello à la Carte. Di quest’ultimo apre il pasto una stuzzicante Insalata di polpo, piattoni verdi, zenzero al Gin, insalata russa e cialda agli anacardi i cui vegetali impiegati risultano crostiglianti, a seguire Scorfano (pesce secondo pescato) con pak-choi, pesche, zabaione al mango e amaretti, ottimo connubio di contrastanti consistenze ed esotiche sapidità. La carta dei vini di La Brisa è rimarchevole, con offerta di Champagne niente affatto usuale, vini bianchi e rossi stranieri e con opportunità di scelta di vini al calice.
Già dal nome, Giannino dal 1899, comprendi che puoi avvicinarti con sicurezza e iniziare a leggere il menu con curiosità. I milanesi delle varie generazioni che si sono succedute è come se si fossero tramandati il piacere di andare ogni volta a scoprire cosa “bollisse in pentola.” Nei 120 e più anni da fiaschetteria a locanda anche per gli “sciuri” dove nelle diverse sedi sì è potuto osservare e leggere di un jetsetting vigoroso e appariscente.
Ma cos’è oggi da Giannino dal 1899? Un ristorante con la R maiuscola, che è stato capace di rinnovare se stesso in maniera elegante in uno dei periodi più bui per la ristorazione italiana a causa della pandemia del 2020. Ma le cose fatte bene si sa sono in grado di superare anche le peggiori avversità e questo luogo di magistrale accoglienza ed ospitalità è oggi sulla cresta dell’onda della ristorazione milanese. Merito della nuova proprietà che ha saputo tanto investire sull’Heritage quanto ha iniettato quel quid di innovazione come la capitale della moda e della finanza richiede. I locali sono di un discreto e misurato lusso, ambiente ovattato che mette subito a proprio agio. Un salone di casa, accogliente e rilassante.
Comodo nella seduta, servizio “festina lente” tanto per un business lunch efficace quanto per una cena rilassante. Il menu attinge alla variegata e ad un tempo sapiente esperienza dello Chef Maurizio Lai. Un luogo in cui si sta facilmente bene, in luogo in cui si può anche osare di entrare nel fine dining dalla porta principale e senza timore di rimanere delusi, anzi. Giannino dal 1899 si è tolto la polvere di dosso, ha lucidato tutto e ha reso tutto scintillante intorno a sé.
Locale fondato negli anni trenta dalla famiglia Villa, tuttora timonato dal nipote Giuseppe, al civico 11 di Via Santa Marta nel quartiere de “le cinque vie” del centro di Milano, Trattoria Milanese è sita a pochi passi da Piazza Affari. Nato come semplice luogo di ristoro è divenuto negli anni un riparo sicuro ove assaporare vecchie ricette della cucina meneghina e nazionale. L’ambiente è quello della classica trattoria milanese, con importanti travi di legno a vista e librerie ricolme di bottiglie arredato con quella eleganza sobria e misurata insita nello spirito milanese.
Si debutta con dell’ottimo cotechino di Canneto dalla grana morbida e compatta e stuzzicante giardiniera di propria produzione croccante e ben assortita. Tra i primi in lista, classici della tradizione italiana quali trofie al pesto, tagliatelle con funghi porcini secondo stagione, tortellini con sugo d’arrosto e classici della tradizione lombarda come tortelli di zucca, risotto allo zafferano, risotto con ossobuco o al salto e gnocchi di patate.
Come secondi piatti degustati, “busecca” (trippa) alla milanese che appaga il palato con la giusta consistenza e sapidità delle carni mitigata “ad hoc” dalla lieve dolcezza del soffritto e delle sue verdure, gustosi e generosi “mondeghili” di carne e cervella fritta alla milanese purtroppo nociuta da una doppia impanatura che l’ha eccessivamente prosciugata. In carta, fegato, rognone, brasato e polenta, costoletta alla milanese, carne cruda olio e limone, mondeghili di verza con puré. Ampia scelta di vegetali di stagione proposti sia crudi che cotti, ottima alternativa per un pasto vegetariano.
Per terminare, un buon tiramisù al piatto e l’immancabile corroborante zabaione caldo. Carta dei vini, anche al calice, piuttosto incoraggiante nei prezzi con qualche bottiglia importante.
Datata 1877, l’Osteria del Treno mantiene imperitura l’atmosfera dell’autentica osteria milanese. Senza troppi fronzoli, è un locale di sostanza. Nel cuore di Milano quanto in quello dei meneghini, l’insegna porta disegnato proprio un vagone di treno, a catturare l’attenzione dei ferrovieri dopo un lungo turno. La famiglia Bissolotti la rilevò nel 1989 e tutt’oggi la gestisce. Dalla sua genesi l’Osteria del Treno mantiene ancora quello che era uno spazio culturale, arredato in stile liberty, completamente intatto e utilizzato per ospitare banchetti ed eventi.
A dare il La la specialità del locale, tagliere di salumi o di formaggi selezionati o, perché no, con il Paté di fegato di vitello alla milanese con composta di agrumi senapati, o con i classici Mondeghili: ardua la scelta. Si continua quindi coi piatti più iconici della tradizione milanese come il Risotto giallo, con o senza midollo e le paste all’uovo, rigorosamente fatte in casa ogni santo giorno. Verso la fine di gennaio come dal calendario del contadino, immancabile la Cassoeula, mentre per palati più sofisticati troviamo le Lumache alla lombarda. Tutto ciò eseguito con buona mano, e abbondante in quantità.
Per un pranzo nel corso della settimana all’Osteria del Treno, complice la carta ristretta fatta di classici e prelibatezze della giornata, non si spendono più di 25 euro. A cena, invece, la scelta è più ampia e sostanziosa, per una spesa che difficilmente supera i 50 euro per persona. La cantina conta una discreta selezione alla mescita e un centinaio di etichette.
In una vietta – di cui porta il nome – un poco defilata dal bailamme del Naviglio Pavese, l’Osteria Conchetta è un bel posticino ove assaporare ricette della Vecchia Milano composto da una sala principale e una più appartata con cucina a vista e pavimento in vetro “a giorno” che rivela una spaziosa e ordinata cantina.
Tra gli antipasti, insuperabili Mondeghili (best in Town!) accompagnati da Carpaccio di testina di vitello, radici fermentate e salsa bernese. Sempre ad aprire il pasto, un interessante “misto crudo” composto da quattro assaggi: Carpaccio di Fassona con tartufo nero e con caviale di aringa; Tartare di bue e fois gras e, a chiudere questo succulento Poker di antipasti, un roseo vitello frollato 60 giorni con il suo fondo e midollo. Tra i primi in carta, una vastissima selezione di risotti e piatti unici quali Risotto all’onda con ossobuco e Risotto riserva San Massimo con guancia di vitello.
A seguire, tra i secondi della tradizione milanese, Rustin negàa, Ossobuco, Costoletta di vitello da 350 grammi cotta nel burro chiarificato e la scenografica maestosa esuberante Costoletta “orecchia di elefante” di 500 grammi accompagnata a scelta da patate ratte o misticanza.
Carta dei dessert con un’accurata e vasta proposta di vini passiti al calice (merita un plus), poi grappe, whisky, rhum, cognac, amari e digestivi assortiti. Carta dei vini con proposte anche al bicchiere. Servizio professionale e ferrato.
Manna si affaccia su una graziosa piazza a nord di Piazzale Loreto. Il menu propone piatti prevalentemente tradizionali con una impronta personale, golosa, compiuta da una mano rimarchevole. Un classico come la cassoeula trova nuova vita in una declinazione goduriosa e non banale. L’estro e la volontà di sparigliare le carte della tradizione emergono sin dai nomi dei piatti, evocativi e dal richiamo giocoso. Infatti “contro il logorio della vita moderna” è davvero un amuleto contro il logorio meneghino: carciofi fritti, gamberi rossi di grande qualità, cosa si può volere di più? I ravioli di gallina sono tanto delicati quanto potenti nell’affumicatura, nella presenza del tartufo. La tentazione è quella di provare tutti i piatti di Manna e, andandoci molto vicini, non si rimane delusi. Il servizio è cortese, attento e non ingessato, in linea con l’atmosfera della sala, curata nella sua semplicità. Apprezzatissima la presenza delle tovaglie. La cantina è ampia e propone anche etichette inusuali, consigliate con cognizione dalla sorridente, anche sotto la mascherina, sommelier.
Passione Gourmet Milano è una guida all’offerta enogastronomica della città. Come tale, è in costante aggiornamento e focalizza la sua attenzione sulle differenti tipologie di locali presenti nel tessuto urbano: ristoranti, pizzerie, street food, cocktail bar e, considerando il periodo attuale, delivery & take away. Un database a uso e consumo dell’utente, con il quale raccontiamo, senza pretesa di esaustività, la costante evoluzione del panorama gastronomico milanese.