Valutazione
CUCINA
CANTINA
AMBIENTE
SERVIZIO
Vale la visita per
i piatti goderecci in un ambiente con allure da Grande Gatsby.
Milano, ha ormai conosciuto da tempo la consacrazione a epicentro gastronomico italiano per cui diventa conditio sine qua non essere bravi a fare da mangiare o il rischio di diventare tourist trap certificata è elevatissimo. Con questa premessa, nel cuore di Brera, La Gioia è un locale con allure da Grande Gatsby non tanto per gli arredamenti quanto per l’atmosfera. L’ambiente è in sostanza un tentativo (molto riuscito) di nomen omen. La clientela non è solo italiana: 65 coperti per una realtà cosmopolita, conversazioni effervescenti all’interno del locale e la cucina a vista che catalizza l’attenzione sul fondo della sala. La Gioia è una delle ultime creature del Gruppo omonimo con all’attivo altri due locali nell’area: Al Baretto e Osteria Serafina. Inizia cronologicamente come locanda ed è provvista di un tono convivale e forno per pizze. Tuttavia il locale nutre mire espansionistiche verso il fine dining rimpiazzando fuoco e legna con una proposta essenzialmente pop che però strizza l’occhio al gourmet. Il ristorante offre giornalmente diverse variazioni come Sandwich di pezzata rossa con maionese al cren e brunoise di Cetrioli: una libera interpretazione della colazione del contadino. Non mancano presenze fisse nel menù tra cui Uovo poché, spuma di topinambur e tartufo dove le note lattiche della spuma si contrappongono alla pienezza del tuorlo creando una giustapposizione di sapori gradevole. Si prosegue con Risotto Milanese d’Oro. Preserva la cremosità e un chicco che per contrasto si presta tenace al morso. Viene servito senza orpelli in favore di una purezza gustativa e aromatica tutta incentrata sui pistilli di zafferano. Un menù quindi propenso a piatti goderecci, piuttosto didascalici ma tecnicamente non bistrattati e ben eseguiti. Last but not least il Sorbetto agli agrumi mantecato al momento che pulisce il palato e prepara al momento del dessert. Poche quindi le velleità di sperimentazione ma lo Chef Giuseppe Russo lascia un finale aperto facendo intendere un futuro sviluppo verso questa direzione. Primo vero segnale di mutamento è la ristrutturazione delle etichette con una cantina che parla prevalentemente italiano con accenni francesi di Champagne.