Nella discosta Via Romolo Gessi, in zona Via Washington e nei pressi del Teatro Nazionale, risiede da qualche anno la pizzeria D’amare, bello e luminoso spazio dove gustare specialità della tradizione e non solo, con uno ‘zing’ di contemporaneità e delle pizze, di cui hanno da poco mutato la stesura del panetto, già con ‘cornicione’ ben rialzato, ora approntata a mo’ di Napoletana classica e a preferenza, anche disponibile in versione integrale. Vari antipasti in carta, tra cui scegliamo una appetitosa Insalata di carciofi, insalata riccia, Raspadura lodigiana, chicche di panissa e granella di pistacchi e delle gustose Empanadas ricolme di manzo e cotte al forno, accompagnate da una stuzzicante salsa alla maionese al lime; Alici e stracciatella, Hamburger sia di filetto di pollo in crosta croccante, sia di Angus con zucchine marinate, scamorza e maionese affumicata, guanciale croccante e cipolla caramellata, poi Polpette al sugo san Marzano Dop cucinate nel forno a legna, infine, delle Bombette di Alberobello di coppa di maiale ripiene di caciocavallo e prezzemolo, completano la sezione degli antipasti. Tra le Pizze, optiamo per l’Indiavolata, allestita con dell’ottimo pomodoro san Marzano Dop, mozzarella fior di latte d’Agerola, salamino piccante, fiocchi di una sdilinquente ‘Nduja di Spilinga e basilico e poi la Marinara, con impasto di farina integrale, generosa di pomodoro e inumidita ‘il giusto’, un tocco di aglio per nulla invasivo e origano, entrambe connotate dall’estrema leggera morbidezza dell’impasto e dalla loro gradevole digeribilità. Disponibili anche versioni meno classiche come la Cinghiale e caciocavallo e il Signor guanciale, approntata su una base bianca, guanciale, crema di Bufala e anelli di cipolla fritta. Completano l’intervallo, dolci di estrazione casalinga come la Sbrisolona, Cioccolato e marroni, Tiramisù e Crema catalana. Carta dei vini di D’amare non rimarchevole per la scarsa originalità delle proposte; qualche birra in bottiglia e alla spina.
Nella prestigiosa e blasonata Melzi d’Eril risiede, da circa un paio di mesi, The Longevity Suite, magnifico progetto provvisto di una Spa ipogea attrezzata con tecnologie e trattamenti rigenerativi all’avanguardia che pongono come priorità il benessere a 360 gradi partendo, in primis, ovviamente dall’alimentazione, grazie all’impiego di ingredienti healthy come l’acqua alcalina e super food ispirati alle abitudini e alle rimedi delle persone più longeve del globo: coloro che vivono nelle Blue Zone (Sardegna, Loma Linda in California, Nicoya in Costa Rica, Okinawa nel Sol Levante e Icaria in Grecia). Accediamo al bistrot di The Longevity Kitchen, sito al piano rialzato del palazzo, ove ci accoglie un personale giovane, sorridente e appassionato al quale va un plauso; luci morbide, comode poltroncine e pochi coperti invitano subitaneamente al comfort sebbene la temperatura fosse, a tratti, eccessiva. Iniziamo la degustazione con della Focaccia, realizzata con farina a basso impatto glicemico che sorprende per l’aerea leggerezza dell’impasto, infarcita con gustose sode e acetiche alici marinate e una stuzzicante crema di caprino, valeriana e bottarga che ne alleggerisce ed equilibra il boccone; ne scegliamo un’altra con zucchine, feta e mentuccia fresca, meno accattivante ma pur sempre lieve e soffice e poi dei golosi Tacos, dalla trama morbida come tortillas, leggermente piccanti ricolmi di ceci, salsa yogurt, peperoni e lime; proseguiamo con della Insalata di quinoa, edamame, latte di cocco, salsa Tahina al curry dal buon bilanciamento gustativo ma purtroppo funestata da dei gamberi esausti. Tra i secondi, optiamo per delle Polpettine vegane con fagioli neri, piselli, pomodori semi dry, aneto e menta che sfiancano il palato per la loro coriaceità e l’esuberante acidità della crema che le ospita e poi il Calamaro, ripieno di cous cous e una caponata di melanzane e salsa al salmoriglio, delude anch’esso per la sua tenace gommosità. Concludiamo con un fine ed etereo Tiramisù al té Matcha e dell’eccellente amaro giapponese Mizunara. Carta dei vini eccessivamente limitata nell’offerta anche se con alcune valide etichette fuori lista. Interessante la proposta di cocktails e soft drinks.
Milano, ha ormai conosciuto da tempo la consacrazione a epicentro gastronomico italiano per cui diventa conditio sine qua non essere bravi a fare da mangiare o il rischio di diventare tourist trap certificata è elevatissimo. Con questa premessa, nel cuore di Brera, La Gioia è un locale con allure da Grande Gatsby non tanto per gli arredamenti quanto per l’atmosfera. L’ambiente è in sostanza un tentativo (molto riuscito) di nomen omen. La clientela non è solo italiana: 65 coperti per una realtà cosmopolita, conversazioni effervescenti all’interno del locale e la cucina a vista che catalizza l’attenzione sul fondo della sala. La Gioia è una delle ultime creature del Gruppo omonimo con all’attivo altri due locali nell’area: Al Baretto e Osteria Serafina. Inizia cronologicamente come locanda ed è provvista di un tono convivale e forno per pizze. Tuttavia il locale nutre mire espansionistiche verso il fine dining rimpiazzando fuoco e legna con una proposta essenzialmente pop che però strizza l’occhio al gourmet. Il ristorante offre giornalmente diverse variazioni come Sandwich di pezzata rossa con maionese al cren e brunoise di Cetrioli: una libera interpretazione della colazione del contadino. Non mancano presenze fisse nel menù tra cui Uovo poché, spuma di topinambur e tartufo dove le note lattiche della spuma si contrappongono alla pienezza del tuorlo creando una giustapposizione di sapori gradevole. Si prosegue con Risotto Milanese d’Oro. Preserva la cremosità e un chicco che per contrasto si presta tenace al morso. Viene servito senza orpelli in favore di una purezza gustativa e aromatica tutta incentrata sui pistilli di zafferano. Un menù quindi propenso a piatti goderecci, piuttosto didascalici ma tecnicamente non bistrattati e ben eseguiti. Last but not least il Sorbetto agli agrumi mantecato al momento che pulisce il palato e prepara al momento del dessert. Poche quindi le velleità di sperimentazione ma lo Chef Giuseppe Russo lascia un finale aperto facendo intendere un futuro sviluppo verso questa direzione. Primo vero segnale di mutamento è la ristrutturazione delle etichette con una cantina che parla prevalentemente italiano con accenni francesi di Champagne.
Sito nell’accalcata Piazza Wagner, questo curioso, nuovo e super nipponico locale-bottega, Matanē, fratello di quello già avviato in zona XXV Aprile, incarna in toto lo stile singolare e sobrio del Sol Levante. Il Giappone si riverbera anche nelle pietanze che propongono un’autentica cucina nipponica e casalinga con sfiziose incursioni ‘street’. Iniziamo con vari Otsunami, golosi antipastini da convividere: i classici Karaage, bocconi di coscette di pollo fritti e succulenti; I’immancabile Insalata di patate, versione nipponica e appetitosa ma più omogenea e collosa di quella russa; i Gyoza Matanē, ravioli di carne di maiale fritti e serviti con salsa ponzu della casa; poi delle Korokke, una specie di frittella di verdure assortite accompagnata da salsa tonkatsu e maionese al sesamo e terminiamo con delle super gustose Takoyaki, polpette di polpo condite anch’esse con le salse appena succitate, tenkasu e impreziosite da deliziosi fiocchi di katsuobushi. Dalla sezione Onigirazu, sorta di sandwich e versione evoluta degli onigiri, scegliamo il Negitoro, dove riso bianco e alga nori all’esterno abbracciano una tartare di tonno; sebbene gustoso e originale nel complesso, risulta un filo arido al morso al quale sarebbe stato forse opportuno accostare una salsa per poterne inumidire il boccone. Assaporiamo poi Avocado e negitoro dunbury, ciotola di riso e salsa mentsuyu approntata con tartare di tonno, avocado, tobiko, semi di sesamo. Tra i Ramen, assaporiamo quello gustoso al tonkotsu, composto da un saporito brodo di maiale e pollo, salsa tare al sesamo, chashu, golosissima pancetta di maiale marinata e brasato, nitamago, mais, bamboo e cipollotto; appaga la Katsudon, succulenta cotoletta di capocollo impanato servito su riso bianco condito con cavolo cappuccio bianco, maionese giapponese, salsa tonkatsu e un delizioso onsen tamago, uovo cotto a bassa temperatura, dal tuorlo filante e liquido che ne avvolge perfettamente il boccone. Concludiamo questa interessante e giocosa sosta nel Sol Levante, con una aerea e fluffy Chiffon Cake al matcha accostata da una quenelle di panna e lamponi. Carta dei vini assente, peccato, e narrata da un personale giovane, gentile ma un filo incerto. Qualche sakè in lista, birre asiatiche e cocktail assortiti.
Nella residenziale e quieta via Albani, a poca distanza dal rilucente e torrato City Life District, il Caffè del Lupo, locale dai toni conviviali e rilassati, propone sfiziosità della tradizione regionale riattualizzate dal titolare Luca Ferrara, alias il Lupo, che ad oggi celebra 26 anni di attività e che ha alle spalle svariate collaborazioni, tra cui, negli anni Novanta, quella presso il ristorante gourmet «Orlando» di Cusago e dal 2005 anche come cuoco a domicilio. Qui, mediante l’impiego di varie tecniche di cottura, materie prime di stagione e di piccoli artigiani del gusto, propone uno stuzzicante ‘comfort food’ da gustare e mettere, volendo, anche “a fattore comune” con l’intero tavolo consentendo così la chance simpatica e godereccia di assaporare più pietanze, a mo’ di tapas. Dalla sezione “Da mettere in mezzo”, optiamo per delle deliziose Crocchette cacio e pepe dense di una golosa farcia e avvolte da una superba sigillatura; altrettanto gustosi e profumati i Mondeghili mentre il Carciofo ripieno, insalata di carciofo aromatico, topinambur e olio alle erbe, di per sé corretto, risulta freddo al boccone e quindi purtroppo penalizzato dalla bassa temperatura. Tra i primi, scegliamo degli Gnocchetti di ricotta, crema di porri, formaggio Testun semi stagionato e super saporiti e croccanti funghi essiccati; in lista anche Tortino di riso croccante con ragù di salsiccia in gremolada, Pici con sugo di pecora leggermente speziato e battuto al coltello e Spaghettoni Mancini, pesto di carote alla brace, nduja, verdurine aromatiche e briciole di pane. Di fine esecuzione, malleabili e umide quanto basta, le carni della Faraona ripiena alla Ligure, erbette in padella e tapenade alla ligure, altrettanto appetitoso e il Cappello del prete di manzo stracotto al vino rosso, carciofo, cipolline brasate e polentina di mais rostrato rosso. Tirando le somme di questa piacevole visita al Caffè del Lupo, ne risulta una cucina eseguita con tocco capace ed esperto al netto di un credito di sapidità su alcune pietanze. Concludiamo con una croccante Sbrisolona servita con della golosa crema. La carta dei vini è interessante per l’offerta di etichette di produttori locali e affatto ordinarie.
Nel boom rigoglioso del Food District di Brera, questa bella trattoria incarna nella sua essenza la rivisitazione delle osterie della tradizione meneghina con un’offerta meramente lombarda grazie anche alla scelta di piccoli produttori locali e affidata alle valide mani dello Chef Paolo Rollini. Avviata da qualche mese dalla Triple Sea Food, Holding di ristorazione che annovera tra i soci di maggioranza Leonardo Maria Del Vecchio, la Trattoria del Ciumbia è la sorella minore, in ordine temporale, di altre due insegne di successo messe in piedi da circa un anno e nella medesima via Fiori Chiari: Casa Fiori Chiari, dalla verace vena partenopea e il regale Vesta, di estrazione prettamente ittica. Il locale dai toni lignei in noce, ispirato agli anni Sessanta-Settanta ma con vari ‘zing’ di modernità e riattualizzato da Dimorestudio, si compone di due piani e una saletta per eventi privati; nel seminterrato, un club privè, in cui sostare magari per un drink dopo cena, che riporta istintivamente all’atmosfera dei bistrot, un tempo densi di fumo, di Saint Germain e arredato con tende blu notte e moquette. Debuttiamo con dei Mondeghili dalla trama teneramente gustosa e dall’involucro piacevolmente croccante e dei Nervitt tiepidi, insaporiti da una spuma di mele e sedano che ne alleggeriscono il boccone. Proseguiamo con degli ottimi Agnolotti con riduzione di brasato di cui non saresti mai sazio e dei Bruscitt di carne di manzo macinata, pietanza rusticamente semplice e dal sapore corposo accompagnata da polentina fumante. Tra i vari piatti in carta, non mancano all’appello quelli schietti e di estrazione casalinga come l’Anguilla in carpione, il Risotto alla monzese con luganega, l’Ossobuco con risotto allo zafferano, la Costoletta alta con l’osso, la Cassoeula, la Trippa con fagioli borlotti e le Lumache della Valtellina in umido, ma anche ricette della memoria attualizzate, come la Lasagnetta al bollito o i Mondeghili nella variante con manzo e luganega avvolti in foglia di verza. Concludiamo la piacevole visita in morbidezza con una ritemprante Zuppa Inglese. La carta dei vini della Trattoria del Ciumbia è piuttosto articolata e densa di etichette interessanti anche con possibilità di degustazioni ‘Verticali’ di rossi e di Riserve Speciali.
Nei pressi di Corso Sempione, nella gremita Via Procaccini, risiede da tempo questo peculiare e grazioso ristorante di quartiere avviato e condotto con professionalità da Giuseppe Destito che lo ha allestito con una settantina di coperti, (tra la sala principale, il soppalco e il dehors arredati in delizioso stile ‘Montagnard’). Qui, due tavoli, deputati alle cotture espresse, sono sormontati da splendide cappe aspiratrici in rame (I Caminetti per l’appunto) ove potere degustare, solo su ordinazione, della Fiorentina di fassona piemontese – cucinata dall’ospite stesso su griglie in ghisa e scegliendo il grado di cottura desiderato delle carni – e assaporare, magari in convivialità, anche della Bourguignonne di carni miste e della filante Raclette. In lista varie proposte di carne, pesce e vegetali e pizze realizzate con farine di grano antico e lievito madre. Debuttiamo con degli stuzzicanti Salumi assortiti Bio Edoardo Gamba e una Tartare di manzo composta alla base da una dadolata di avocado e in superficie da petali di tartufo nero di Norcia affettato al tavolo e insaporita con tocco gentile, seguita da degli ottimi Carciofi fritti croccanti da intingere in una golosissima crema tiepida di Pecorino. Proseguiamo con un aromatico e malleabile Filetto di fassona piemontese de ‘I Caminetti’ cucinato alla griglia affumicato alle erbe proposto in un simpatico fornello di terracotta, per preservarne opportunamente la temperatura, guarnito da friabili patate arrosto e dell’ottimo e avviluppante Brasato di manzo servito con della soffice polentina di mais; seguono dei saporiti Cannellini toscani tiepidi al rosmarino, sale e pepe. Concludiamo in dolcezza e in perfetto clima Carnevalesco, con dei ghiotti Tortelli ricolmi di crema Diplomatica e piccola pasticceria della casa; altrimenti in lista varie leccornie quali il Cannolo siciliano con crema di ricotta riempito ‘espresso’, granella di pistacchi e arancia candita, Sfera di cioccolato fondente con crema ganache al rum e lamponi, Millefoglie alla crema e via preferendo. Carta dei Vini con un valido assortimento di etichette nazionali e bio; esigua però la proposta al calice.
La location è certamente originale per un ristorante: all’interno del palazzo del Cinema Anteo, e precisamente negli spazi che un tempo ospitavano il palco e i camerini del vecchio cinema teatro, e nel cortile adiacente. Inaugurato a settembre 2021, il Miro da qualche mese ha visto un cambio in cucina con l’arrivo del trentenne Vincenzo Artadi Carbajal. Nato a Roma da genitori peruviani, Carbajal ha alle spalle diverse esperienze l’ultima delle quali al Sine con Roberto Di Pinto. Il nuovo corso della cucina guarda decisamente alla tradizione ed alla riscoperta di sapori decisi. Una cucina priva di svolazzi e orpelli e tutta puntata sulla sostanza. Una sorta di rielaborazione della cucina delle nonne (quelle brave n.d.r.). In questa chiave deve leggersi la riscoperta di un piatto eccellente – che fa più casa che ristorante, normalmente – parliamo della Pasta al forno qui proposta in una versione “ecumenica” che unisce gli ziti campani, il ragu bolognese e la ventricina abruzzese. Molto golosa! Tutti i piatti prendono il nome da pellicole importanti – d’altra parte siamo all’interno di un cinema – e quindi, dopo la Pasta al forno (Big Night), abbiamo assaggiato, tra l’altro, “La Grande Bellezza” di un carciofo alla Giudia fritto alla perfezione. Coccola finale “Wonka” – e non poteva essere altrimenti, squisiti Profiteroles con cioccolato Uganda al 66%. Carta dei vini poco estesa ma non priva di spunti interessanti. Conto sui 60 euro per 4 piatti, ma attenzione all’iniziativa “Il cinema mette fame”: da domenica a giovedì, è possibile assistere a una proiezione e, a seguire, godersi una cena al ristorante (1 portata, acqua e coperto) con un unico biglietto al prezzo di 20 euro.
Nella quieta e residenziale via Correggio, a qualche passo da Piazza de Angeli e Via Marghera, risiede da circa un lustro Apotheca il cui nome, di derivazione latina tradotto significa dispensa, e sta a indicare il deposito in cui gli antichi romani conservavano alimenti come il pane e il vino. Questo curato e piacevole ristorantino ‘di quartiere’ è stato avviato ed è condotto dal cuoco e titolare Marco Manfredi che si è ispirato per gli arredi alla nostra Costiera Amalfitana, della quale ha fatto riprodurre sul murale una tipica casa colorata di un borgo di pescatori. Apotheca ospita una trentina di posti a sedere (oltre a qualche coperto nel déhors con la bella stagione), e propone una cucina di impronta Mediterranea con pietanze sia di carne sia di pesce, servita in vivaci stoviglie di ceramica, in perfetto clima vietrese. Iniziamo con una Tartare di ricciola, condita con tocco leggero (olio evo sale e pepe), da arricchire a piacimento – eventualmente al tavolo – con spezie assortite, e dei Gamberi di Mazara del Vallo; a seguire delle Crocchette di baccalà, su una crema di topinambur sin troppo esigua e percepita appena, connotate da una valida panatura, ma dall’esito gustativo finale purtroppo piuttosto fiacco. Gli Gnocchi di patate con dadolata di pesce fresco, conditi alla mediterranea con olive di Gaeta e pomodori secchi, risultano davvero appetitosi penalizzati però dall’impiego di eccessivo olio. Il trancio di Salmone scottato alla piastra con cavolo nero fritto risulta gustoso, malleabile al cuore e dalla superficie ben croccante, mentre i Calamari alla piastra ripieni di crema di piselli risultano poco espressivi e in leggero debito di gusto; stuzzicanti le Cime di rapa ripassate in padella. Dolci della tradizione ‘della casa’ Apotheca per il fine pasto come il Tortino al cioccolato dal cuore morbido o il Cannolo siciliano con granella di pistacchio. Carta dei vini piuttosto ridotta con proposte non sorprendenti.
Nell’avveniristico e signorile quartiere di Citylife, in Piazza Tre Torri, la medesima proprietà del brand e concept retaurant Bioesseri dei fratelli Vittorio e Saverio Borgia – da tempo in città con due ristoranti di successo di impronta bio – ha avviato qualche settimana fa Casa Bi Contemporary Bistrot, bello, super accogliente e spazioso locale con circa 100 coperti. “In questa casa del gusto” si serve colazione, pranzo, aperitivo, cena e anche dopocena, grazie alla mano dell’executive Chef Federico Della Vecchia che compie con tocco lieve e contemporaneo la ‘mediterraneità. Qui materie prime rigorosamente biologiche vengono esaltate nella realizzazione di piatti dalla forte identità territoriale. Dal menù à la carte del locale scegliamo dalla sezione “Da Condividere” (possibilità di degustarne anche in zona aperitivo abbinando un drink o un calice di vino) delle fragranti e stuzzicanti Panelle siciliane tagliate a bastoncino che irroriamo al tavolo con limone, cubi di sedano rapa, dall’ottima frittura, da intingere in una golosa maionese alla curcuma e del Polpo fritto alla Mediterranea connotato da una corretta consistenza delle sue carni e servito con salsa agrodolce, capperi fritti, terra di olive nere e cipolla in osmosi. Tra gli antipasti di Casa Bi, spicca in tutta la sua componente vegetariana l’Involtino di riso con vignarola di sedano rapa, zucca, verza, crema di prezzemolo e sesamo tostato e stuzzica la Tartare di salmone con erba cipollina, salsa ponzu e ravanelli croccanti. Seguono degli decisamente italici e abbondanti Spaghetti ai quattro pomodori, della Tagliata di roastbeef il cui fondo bruno è saporito ed eseguito a dovere, ma il cui risultato finale è un filo penalizzato dall’eccessiva coriaceità della materia, mentre tenero e succulento il Filetto di salmone, accompagnato da crema di zucca e friarielli ripassati. Per terminare l’intervallo, grandi classici della pasticceria italiana, con una intuibile e simpatica predilezione per le specialità della Trinacria, terra madre della gestione. Carta dei vini improntata in modo coerente su etichette nazionali e con ricarichi equi ma con una proposta piuttosto esigua al calice.