Mano solida, quella di Roberto Conti, formatosi anche in queste cucine, dapprima a fianco di Andrea Berton e, successivamente, con Luigi Taglienti. Ora, da attore protagonista, in pochi tratti disegna una cucina opulenta, come lo richiede il luogo, e mascolina, che sa dove attingere l’ispirazione e, non meno importanti, i suoi confini. Nei piatti, pochi gli attori comprimari, audacemente combinati come nelle Cozze, alghe, olive nere e anice. In altre occasioni, tuttavia, l’idea è che sforzo non valga il risultato: ma non è il caso della godibilissima Zuppa di astice e pomodori. Il servizio, un poco affettato, resta impeccabile e impeccabilmente coordinato dal Maître e Sommelier Carlo Tinelli. Attenzione solo ai prezzi, ancora settati sulle due stelle Michelin.
Dimenticate ogni velleità (gourmet) voi che entrate. Giovanni “Nanni” Arbellini, 30 anni appena compiuti, dopo aver appreso il mestiere da scugnizzo, a Napoli, a 18 anni si trasferisce a Milano dove segue le aperture di Rossopomodoro, anche a Tokyo, ed entra nelle grazie dei milanesi col format Briscola – Pizza Society. Ma è con Pizzium che vi si consacra. Qui sviluppa infatti una pizza diversa da tutte le altre: buona, semplicemente buona, d’ispirazione partenopea e popolare, com’è nata. Margherita o Marinara, certo, ma anche declinata a livello regionale, come la Puglia, con pomodorini gialli, stracciatella e olive nere o la Lazio, una sorta di Carbonara capace di combinare ludibrio ed equilibrio. Una manciata di etichette, tra di vini naturali e birre, chiude il cerchio.
Luca Catalfamo ha fatto sua l’identità culinaria del Sol Levante. Quella dei ramen, ove continua a stupire il suo brodo tonkotsu di ossa e grasso di maiale, bollito per ore, sgrassato all’uopo e nitidissimo nel sapore. L’attenzione alla stagionalità è il suo mantra, e si manifesta in piatti come la tempura, che avviluppa ingredienti di volta in volta diversi. Che il dinamismo sia l’anima della fusion? Può darsi, ma sono i dettagli qui a colpire, come l’uovo marinato della zuppa di miso, che sarebbe stata già perfetta da sola col suo cipollotto, i funghi shitake, il bamboo, gli spinaci novelli e l’olio al limone. Da provare, però, anche i bao e i dumpling di maiale e cavolo fermentato, le costine di maiale o il Kim Karage, ovvero il pollo disossato e fritto, croccantissimo, e senza la minima traccia di unto.
La cucina gourmet all’interno dell’aeroporto di Linate, vede al timone Michelangelo Citino, allievo di Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse con esperienze tanto alberghiere quanto in contesti non convenzionali, come la Triennale di Milano. Si tratta di un ristorante gourmet ma si dimostra, anche, funzionale nelle sue creazioni plasmate con pochi ingredienti e presentate in modo puntuale, preciso, attento ed elegante. Ancora, prevale nei piatti un certo didascalismo che ha, come pegno, la carenza di emozioni forti; ma è normale, forse, considerata la location. Tra le proposte segnaliamo la bella idea di rispolverare i quasi dimenticati gnocchi alla parigina, la Trippa mantecata alla paprica dolce, gamberi e lardo e la pluma di maialino ibrico, pesto ai fichi secchi al porto e pak choi. Non indimenticabile però il pane.