Ci troviamo in zona City life/Fiera Milano, qui si trova il ristorante Altriménti. Un bel ristorante di quartiere, con arredi curati e moderni, suddiviso in più ambienti. La sala interna e, all’esterno, un dehors da godersi con la bella stagione, affacciato su una strada poco trafficata. L’idea di Damian Janczara è il ristorante della porta accanto, intimo e da scoprire. In cucina: Pantaleo Daddato. L’accoppiata è riuscita a creare un tavolo a cui far sedere una qualsiasi fascia di clientela, proponendo piatti trasversali, dallo stile ben delineato e nel rispetto del prodotto.
Lo chef pugliese si è formato nella cucina di Aimo e Nadia, ma si ispira anche and altri chef del circondario milanese. I suoi piatti rimandano con creatività alle sue esperienze, alla terra e al mare; il menù si sviluppa così in diverse parti. Si dividono “verdure”, “carni” e “pesci”, con ampia scelta tra antipasti, primi e secondi che cambiano sistematicamente in base alla freschezza e disponibilità di un’ottima materia prima. “Verdure”, “carni” e “pesci”, senza scordare “dessert”: questi sottotitoli sono per così dire contenitori, al cui interno l’ospite può scegliere un’ampio assortimento tra antipasti, primi e secondi che cambiano sistematicamente in base alla freschezza e disponibilità di un’ottima materia prima, combinando anche piatti di sezioni diverse. La freschezza per antonomasia è la Melanzana viola arrosto, basilico, stracciatella e pesto di pomodori secchi; mentre più delicata la Ricciola, carosello, datterino e cipolla di Tropea; in completo contrasto con la golosità dei Ravioli ripieni di ricotta di pecora, zucchinette in fiore, tenerumi, parmigiano e zafferano. Dolce sorpresa i dessert, buonissimi, tra i quali ricordiamo la Granita ai gelsi e brioche calda.
Cordiale e preciso il servizio. Chapeaux alla carta dei vini, ampia e costruita con intelligenza, mantenendo onesti i prezzi. Peccato non ci sia un menù degustazione.
DaV è l’approdo a Milano dei fratelli Cerea: un ristorante dal taglio informale, al primo piano della Torre Allianz. Il quartiere di City Life accoglie questo nuovo locale aperto senza troppi clamori lo scorso luglio e che ha già rivelata la tipica tempra del duo di Brusaporto. L’ambiente, all’insegna della convivialità, ha un’evidente impronta contemporanea tanto da ricordare il gusto di locali di New York, Miami o Dubai. Il progetto, diverso dal blasonato ristorante Da Vittorio a cui hanno dato fama i Cerea, mette al centro l’idea di condivisione, come per l’antipasto CondiviDav da spartire con gli altri commensali e che si fonda su assaggi come i Fiori di zucca alla milanese o il Baccalà mantecato e ancora con la Tartare di manzo “old style”. Dalla cucina, guidata da Nicholas Reina, escono piatti che spaziano dai grandi classici, ormai un’istituzione, come la Cotoletta o I Paccheri alla DaV, fino alla “Fantasia si scampi” uova pochè, pancetta e pop-corn. Completa l’offerta una selezione di pizze, dall’ottima lievitazione, in tre varianti –alla pala, nuvola o con il cornicione alto- tra cui spicca la Pizza Scarpetta, una sorta di spin-off dei paccheri, e che ne porta come condimento il sugo degli stessi.
La sala, gestita da Salvatore Impieri, offre un servizio informale e attento. Curata e in linea con l’animo del locale è la carta dei vini, che si adorna anche di una bella selezione di cocktail, che nell’uno e nell’altro senso invitano anche solo a fermarsi per un aperitivo all’American Bar.
Señorio è un vero e proprio avamposto di cultura spagnola a Milano. Siamo in zona Porta Romana, a due passi da Chinatown, e proprio qui ha sede un’ambasciata di cultura nazionale iberica. Non solo cibo, quindi, ma anche arte e cultura a tutto tondo: mostre itineranti, concerti, esposizioni e istallazioni permanenti e temporanee, in questo splendido ristorante, centro e polo gastronomico e culturale.
Qui tutti i prodotti arrivano dalla Spagna, passando da nord a sud, da est a ovest e anche l’acqua minerale è autoctona al 100%. Una nazione composita, con regioni o comunità autonome e due città autonome: Ceuta e Melilla. Ciascuna di queste zone vanta proprie peculiarità, anche in ambito enogastronomico. Le cucine sono in mano allo Chef Alberto Rodríguez, famoso per i molti ristoranti gestiti e supervisionati a Barcellona, tra cui il mitico tempio del pesce Botafumerio.
Señorio è tapas bar, con una interessante e variegata proposta, e ristorante con molte preparazioni di carne e pesce tipiche della terra spagnola. Noi abbiamo degustato una ottima Fideua, dello splendido Pata Negra per iniziare e un filetto di Rubia Gallega affinato almeno 40 giorni davvero sapido, morbido e goloso. Abbiamo terminato con la Tarta de Santiago de Compostela, dolce tipico, e accompagnato la cena con dei buoni vini spagnoli, anche in degustazione al calice.
A tal proposito la profonda cantina offre il meglio dal vivace comparto produttivo della Spagna, da poter scegliere. Unico neo di Señorio? I prezzi non propriamente popolari ma, si sa, la qualità si paga.
Nel centro pulsante della “Vecchia Milano” – più precisamente in una suggestiva via pedonale vicino ad antiche rovine di età romana – dimora il ristorante La Brisa nelle cui sale spira una brezza di ovattata eleganza che si riverbera altresì accomodandosi, con la bella stagione, sotto i tigli del quieto giardino in cui peraltro è possibile incontrare Willy, la tartaruga blasé che da tempo immemore vi sgambetta pigramente. Qui lo Chef Antonio Facciolo allieta con menù creativi e ricette della tradizione milanese in chiave più attenuata e moderna, impiegando ingredienti rigorosamente secondo stagione. Per una pausa più agile a pranzo si può optare per un “Menù del Giorno” consistente di due portate a scelta, acqua e caffè, oppure per quello à la Carte. Di quest’ultimo apre il pasto una stuzzicante Insalata di polpo, piattoni verdi, zenzero al Gin, insalata russa e cialda agli anacardi i cui vegetali impiegati risultano crostiglianti, a seguire Scorfano (pesce secondo pescato) con pak-choi, pesche, zabaione al mango e amaretti, ottimo connubio di contrastanti consistenze ed esotiche sapidità. La carta dei vini di La Brisa è rimarchevole, con offerta di Champagne niente affatto usuale, vini bianchi e rossi stranieri e con opportunità di scelta di vini al calice.
L’appellativo del ristorante Il Gusto della nebbia, di primo acchito può disorientare lasciando presumere sia un posto di nostalgici della “Scighera” (nebbia in meneghino) e di celebrazione di sapori della Vecchia Milano; in realtà è risultante dalla traduzione in italiano del nome della città cinese di Chongqing- di cui è originario il cuoco e Patron Wu Wei detto “Lampo”- che, per circa 100 giorni all’anno, è avvolta da una spessa e suggestiva coltre di nebbia … È dunque un mero ristorante cinese ubicato nella vibrante zona di Porta Garibaldi; pochi tavoli con una schietta cucina della tradizione– quindi assenti più che giustificati, (alleluia), riso alla cantonese, spaghetti di soia, spring rolls e via dicendo- eseguita bene e con una spiccata predilezione per il gusto piccante. Un plauso speciale per l’“Uovo Centenario” consistente in uovo di anatra lasciato fermentare per un lasso di tempo di circa cento giorni in un composto di acqua, sale, carbone e ossido di calcio che gli conferisce il suo caratteristico sapore e colore nero che, una volta al palato, sdilinquisce le papille desiderandone svariate porzioni! A seguire un succulento, niveo e soffice “Bao” con suino fritto ossia Panino cotto al vapore farcito con tenerissima e aromatica carne di maiale sfilacciata e a seguire una generosa porzione di filettini di petto di pollo in salsa piccante e sesamo. Specialità di Il Gusto della Nebbia, e dunque della casa, anche i noodles proposti in versione extra piccante o più mitigata a seconda di ciò che aggrada al cliente.Si conclude il lieto pasto con una gelatina di frutta, ghiaccio e latte dal gusto poco dolce ma considerata la sapidità delle vivande, decisamente opportuno e rinfrescante. Carta dei vini non del tutto esaustiva.
Dopo aver creato un modello di convivialità eccelso, vini naturali (con chicche provenienti da tutto il globo terracqueo) e piatti istintivi e divertenti con grande materia prima, l’Enoteca Naturale si predispone per il grande salto, ingaggiando da pochi mesi un giovane Chef, Gianmaria Errico, e variando la proposta in maniera integrale.
Oggi qui all’Enoteca Naturale potrete o prendere un aperitivo con qualche stuzzichino semplice, ma ben curato, oppure accomodarvi all’interno per gustare un percorso fisso fatto di 4 piatti, a 40 euro, prezzo apparentemente conveniente, con menù che varia pressoché ogni giorno in base a quanto il mercato può offrire. Il risultato? Altalenante, invero, e non così convincente quanto lo era prima. Perché ora, se la proposta è così inquadrata e fissa, i piatti dovrebbero essere più eloquenti, magnificando gusto, intensità e personalità. Il risultato, il giorno della nostra visita, è stato invece un pasto sotto tono, buono ma nulla di più, con alcuni passaggi dubbi nei primi due piatti: Cetrioli, rabarbaro fermentato, ravanelli marinati e levistico che, se sulla carta prometteva bene, è risultato invece scomposto e slegato nell’insieme; l’Anguria arrostita, pomodori verdi, ribes, maggiorana, origano e ricotta salata assumeva invece al gusto derive non lusinghiere in termini di godibilità dell’insieme.
Crediamo e speriamo in un incidente di percorso anche se, ripetiamo, la proposta fissa non agevola certamente la quadratura del cerchio.
Spazioso, sebbene dall’essenza soffusa, Mi – Cucina di confine è un locale sito tra via Senofonte e Viale Cassiodoro nel cuore del nuovo signorile quartiere di CityLife vestito di una gioiosa tappezzeria in carta dai motivi decorativi raffiguranti esotici pennuti ed illuminato da maestosi lampadari con frange a mo’ di voliere. “MI”, che significa riso in cinese, è il chicco che ha congiunto l’Oriente all’Occidente facendosi qui Ambasciatore nel viaggio “Fusion” dei sapori dell’antica tradizione rileggendoli attraverso tecniche di cottura della memoria e ingredienti ed interpretazioni odierne. Si debutta con dei tiepidi e stuzzicanti involtini vegani composti da crauti, funghi, carote, bambù e cipolla seguiti da profumati da triangolini al curry, carote, pisellini e patate. A seguire, Sashimi Mix constante di una selezione di pesce crudo (16 fettine) con salmone, tonno, ricciola, branzino, gambero, capasanta e tartare di salmone e avocado davvero fine al palato. Bravi. Tra gli uramaki scelti, vincenti e dal chicco scoppiettante i Rainbow Rolls composti da alga, riso, salmone, avocado, cetriolo, maionese speziata, avvolti da tonno, branzino, salmone, gamberi e ricciola seguiti da crocchianti Tempura Rolls avvolti da alga e farciti da riso, gamberi in tempura, rucola e maionese giapponese. In carta, Anatra alla Pechinese, Branzino al vapore in stile Hong Kong, Dim Sum, Noodles, Riso, Zuppe, Temaki e Nigiri in varie declinazioni e possibilità di scegliere tra un Menu Degustazione più breve e uno più articolato. Carta dei vini corretta con proposte di bottiglie interessanti e buoni distillati a fine pasto.
Quello che di primo acchito potrebbe lasciare immaginare essere il nome di battesimo della titolare o della Chef, Bianca, è in realtà è il tono della nuance del quale è vestito l’intero ambiente sito al piano terra di un palazzo d’epoca dietro Corso Vercelli, allestito sobriamente con pezzi di design e che dispone di una sufficientemente spaziosa e immacolata veranda ton sur ton in cortile.
Al ristorante Bianca il menù orientato esclusivamente sulla proposta ittica con freschi crostacei e molluschi che compongono i Plateaux, i Carpacci e le Tartare. Porzione sovrabbondante e torrida quella degli spaghetti all’aglio nero sin troppo “al dente” con colatura di alici non del tutto convincenti a causa del retrogusto oltremodo accentuato di liquirizia che, a volte, restituisce il bulbo quando non ben dosato. Insalata di astice e scampi proposti con contorno di fichi che, in realtà, qui la fanno più da protagonisti. A seguire Fritto misto variegato, generoso e gustoso e ricciola con salsa olandese ben eseguita anche se nuociuta dall’eccessiva secchezza delle sue carni.
Carta dei vini corretta con proposte anche estere. Servizio attento e garbato. Un plus, a fine pasto, il digestivo offerto dal Patron.
Mariasole Cuomo, cuoca, e Giacomo Venturoli, maître, sono i proprietari di questa bellissima novità che ha aperto i battenti da poco, in zona Porta Romana. Un luogo in cui i fermentati o le spore, nomen omen, la fanno da padrone. Vini rigorosamente naturali di piccoli produttori accompagnano una cucina fatta di contaminazioni asiatico-nordiche, con un tripudio di Kimchi, soia e fermentati di vario genere.
Giovani, sì, ma molto determinati e con una espressione culinaria davvero interessante e spinta: Mariasole è tutt’altro che morbida, la sua cucina esprime irruenza e impeto intenso come nel Crudo di cefalo, namjim di cetriolo, friggitelli al forno e aceto di peperone – bum! – o come nello splendido Capocollo frollato nel koji, spinacio d’acqua e peperone fermentato. Un piatto, quest’ultimo, che grazie alla marinatura dona nuance morbide e lievemente piccanti a un taglio di carne proverbialmente difficile.
Un altro piatto destinato a rappresentare perfettamente, a nostro avviso, l’idea e lo stile della cucina e destinato a diventare probabilmente un signature dish è il Tagliolino di grano saraceno, burro, kimchi e tuorlo marinato in soia e salsa di sesamo: equilibrio perfetto e tanto gusto, con tutti gli spigoli e i contrappunti al loro posto. Il servizio è informale ma attento; la sala spoglia, ci sono pochissimi coperti ma anche un giardinetto davvero utile nella bella stagione. Attenzione, perché crediamo che a breve sarà molto difficile trovare posto da Spore.
Questo piccolo bistrot dal design minimale e i toni neutri rassomiglia a una casa privata. Qualche libro da cucina alle pareti e 25 coperti, sono le peculiarità di Altatto. Situato nel quartiere di Greco, la sua cucina nasce dall’idea di Cinzia, Sara e Giulia, “allieve” di Pietro Leeman e del suo Joia.
Così, la cucina vede la predominanza della componente vegetale, nella sua più alta accezione, dove materie prime poco note selezionate con cura certosina vengono esaltate da una grande tecnica. La valorizzazione dell’elemento vegetale si concretizza nelle cotture alla brace, al vapore, in tempura e trova altrettanto onore nelle spume e nei fermentati, restituendo una cucina fresca e nobile. Una proposta dalla doppia anima, vegetariana e vegana, che si esprime in maniera “tattile” in Fave e Cacio: un piatto da comporre, formato da una soffice focaccia di patate dolci da guarnire con fave cotte alla brace ripiene di crème brûlée ai porri con crema Carena. Decisamente gustoso è il Green Curry, un’esplosione erbacea di trifoglio, nepitella e taccole, abbinata a una spuma speziata di mandorle che ha tutto il sapore di un viaggio in India. Degno di nota anche il Risotto al Castelmagno, contrastato dal Saint Germain e polvere di fieno blu greco.
La carta dei vini di Altatto è composta da etichette naturali, con focus su Slovenia, Italia e Spagna, ma si può anche optare per uno degli originali drink composti di infusi e spezie.