All’ultimo piano di uno degli alberghi più lussuosi di Milano, L’Excelsior Hotel Gallia, ed affacciato sulla Stazione Centrale, da Terrazza Gallia troviamo la cucina dei fratelli Antonio e Vincenzo Lebano. Il duo campano, coadiuvato dalla consulenza dei fratelli Cerea di Da Vittorio, pone l’accento mediterraneo ad una proposta gastronomica genuina, di stampo contemporaneo. La Campania e i suoi sapori, mai troppo ostentati, si rivelano soprattutto in “Miseria e Nobiltà“: spaghettoni Masciarelli con pane atturrato e caviale e in “Brace del Vesuvio“: ricciola alla brace, pomodoro giallo, taralli, erbe e fiori. Nel menù non possono mancare, inoltre, i capi saldi del tristellato di Brusaporto: nel menù dedicato, “I Classici” – un omaggio ai piatti iconici di “Da Vittorio”, gli inconfondibili Paccheri “alla Vittorio” o la fantastica Cotoletta alla milanese (per almeno due persone) e ancora l’insalata tiepida di pesci, crostacei al vapore ,mostrano la mano di chi vigilia e orchestra il tutto. L’ambiente, da Terrazza Gallia è elegante e si rivela altamente versatile: business oriented, con le colazioni di lavoro, per la cena o come cocktail bar attiguo dotato di una bella terrazza all’aperto ideale anche per l’aperitivo o l’after-dinner. La carta dei vini è ben composta con ricarichi proporzionati al contesto, come anche il servizio attento e puntualissimo.
Da poco più di un anno riapre il ristorante all’interno del cinema Anteo di Milano. L’Anteo, sede tra le più importanti del cinema d’essai a Milano e non solo, apre nel 1979 come Anteo MusiCineTeatro. In seguito, le sale diventano molte di più, si aggiungono il ristorante, la libreria. Nel 2017 la proprietà acquisisce il palazzo di fianco, già Casa del Fascio negli anni Trenta (lo stesso Anteo peraltro occupava la sala del cinema D’Annunzio, nato nel 1939). Nasce così il Palazzo del Cinema, un complesso multisala su 4 piani, che incorpora il vecchio cinema, con 11 sale, bar, ristorante (gestito da Eataly). Curioso che proprio qui un gruppo di giovani ragazzi, capitanati da Andrea Vignali e Michele Siepi, inaugura questa avventura a fine 2021: Miro – Osteria del Cinema. Un luogo affascinante che viene vissuto inizialmente con non poche difficoltà, perché qui tutto ci si aspetta meno che quello che è stato creato, ovvero una osteria contemporanea nel vero senso del termine. Merito della proprietà ma anche dello Chef Enrico Maridati che ha portato dalle sue esperienze estere un timbro interessante e divertente. Buoni tutti i piatti, che prendono i nomi di pellicole importanti, ma non mancate se potete “Eurotrip“: ovvero dei Plin alle erbe, beurre blanc, aringa affumicata e cetrioli. Conto sui 60 euro per 4 piatti, servizio attento e una carta dei vini poco estesa ma molto personale e che varia in continuazione. Miro – Osteria del Cinema è da non perdere.
Questo ristorante d’Antan sito ad Abbiategrasso, alle porte di Milano, indossa l’animo e il nome del suo fondatore che, assieme alla moglie Giancarla e alla gentile figlia Chiara, porta in tavola da decenni piatti della tradizione lombarda e piemontese. Il bell’ambiente rustico-elegante consta di due sale: una più grande con ampi tavoli ben distanziati tra loro allestiti con gradevoli stoviglie e fini tovaglie e una più raccolta, con al massimo una ventina di coperti, ideale per occasioni più confidenziali. Si debutta con una proposta di affidabili e robusti antipasti della tradizione lombarda quali Insalata russa, Nervetti con cipolla, Salame e coppa, Paté di fegato di vitello con crostini e giardiniera in agrodolce. Tra i primi piatti, optiamo per i Ravioli di carne di pasta fresca al burro d’alpeggio versato e foglie di salvia e a seguire per il celeberrimo Gran Carrello di Arrosti e Bolliti che propone prosciutto al forno, pollo alla diavola, punta di vitello, coppa e polpettone agli amaretti; tra i lessi manzo, lingua, testina di vitello, cotechino vaniglia, punta di vitello e pollo il tutto accompagnato da mostarda di frutta e di verdura, cipolle in agrodolce, salsa verde, cipolle caramellate e senape al miele. Purtroppo il Bollito non è stato servito nel suo brodo caldo, ma direttamente dal tagliere posto sul carrello risultando quindi più freddo e inaridito e privandolo un po’ della “mise en scène” che meriterebbe Il Piatto “signature” Agostino Campari di questo storico luogo. Carta dei vini interessante e con una dettagliata sezione dedicata a Champagne e Bollicine Italiane. Con la bella stagione, chance di dimorare nel gradevole dehors. Un plus, il parcheggio riservato ai clienti del ristorante Agostino Campari.
Questa affascinante vecchia cascina allestita con pezzi di antiquariato e bei caminetti, deve il suo nome ai pioppi che ombreggiavano la via Gallarate ove è sita sin dal 1850 in quella che un tempo fu aperta campagna e governata con lode da più di cento anni dalla famiglia Anzaghi, diretta oggi dai premurosi fratelli Attilio e Roberto che incarnano la terza generazione della stirpe di ristoratori milanesi DOC. Educazione e garbo danno il benvenuto in questo luogo di conforto, che si è peraltro conquistato il riconoscimento di “Bottega Storica d’Italia”, impegnato proattivamente nella celebrazione della cucina meneghina anche con serate “a tema” tra cui quella del “Less Mist” e della “Cassoeula”, ma che propone anche specialità classiche di carne e di pesce e di funghi secondo stagione. Apre il pasto, a La Pobbia 1850, la “Lengua de vitèll a la milanesa cont la salsa verda e il rafano” dal sapore e dal taglio piuttosto “hardcore” e salse di accompagnamento gustose e acide quanto basta, seguita da isoffici “Noster mondeghili a la milanesa” e da i “Gnervitt in insalata cont scigull e fasoeu borlòtt”. Si pasteggia poi con “La cassoeula cont pulenta gialda” consistente in un’enorme casseruola, per l’appunto, farcita da verzini, piedini, foglie di verza, costine e cotiche a gogò (forse un po’ troppe) accompagnata da un’ottima polentina gialla all’onda. Per completare il desinare, in perfetto clima familiare e domestico offerta di dolci della tradizione come la Torta di pere e cioccolato e gelato alla nocciola e Torta di mele con gelato alla vaniglia, Tiramisù o di dessert più tipici come “El Zabajon cald alla milanesa cont i biscott” e il “Salamm de ciocolatt cont la crema al mascarpun“. Carta dei vini penalizzata da un’esigua offerta di etichette.
In pieno centro, nelle viette tra Via Torino e Piazza Missori è nato Sugo, una trattoria moderna che sin dall’ingresso riporta agli anni ’70 con dettagli come il Rischiatutto o i classici vecchi tubolari rossi per i neon. La sala è piccola, abbastanza spoglia, illuminata dalla parete a vetro che da sulla piccola via dell’Unione. L’accoglienza è sorridente ed il benvenuto arriva con un mini piattino di gazpacho nel quale fare la scarpetta con del pane. Il piattino è in condivisione, in tempi post pandemici può essere un azzardo ma anche un buon auspicio. I piatti sono semplici, in cerca di un guizzo: interessante la Melanzana affumicata con semi croccanti e caviale di quinoa, meno incisiva la Tartare di manzo, tuorlo d’uovo fritto, salsa verde e bergamotto. L’impressione è che lo Chef Matteo Ceppi stia cercando una dimensione che possa coniugare i prezzi, non modici, con una cucina che lasci più il segno. Da Sugo due le possibilità di degustazione: da 3 piatti a 45 euro e da 5 piatti a 60 euro. La carta dei vini sembra essere mensile e propone una bolla, un rosso ed un bianco al calice.
Nel cuore di Brera, siamo in Via Fiori Chiari, è nato un contendente ambizioso e interessante del gruppo Langosteria. Tra i proprietari il figlio di Del Vecchio, patron di Luxottica, da poco scomparso, che ha voluto ricreare le magie del locale di pesce alla moda e per il pubblico milanese. Il locale è frequentato da una rosa di manager e giovani rampolli della Milano bene, ed è meta per il pesce preparato in tutte le sue forme e le sue dimensioni: crudo, cotto, poco o molto elaborato. I prezzi sono al livello del ristorante, ovvero decisamente elevati, ma la qualità si paga, soprattutto quella ittica a Milano. Da Vesta Fiori Chiari abbiamo degustato una splendida Sogliola di Dover alla mugnaia veramente ben realizzata, una Fregola ai frutti di mare decisamente buona e gustosa, un Tempura e un Poché di pesce fatti a regola d’arte, con materia prima tra il buono e l’ottimo. Il servizio, celere e presente, si è dimostrato disattento, a locale pieno, in alcuni tratti. L’acustica, seppur di recente e preziosa ristrutturazione, non è tra le più favorevoli. Ma Vesta è già diventato in brevissimo tempo un punto di riferimento in Brera per la cucina di pesce di elevata qualità. Completa il quadro una carta dei vini da molte referenze, seppur abbastanza tradizionali e scontate, non solo per l’impostazione del ristorante ma anche in termini di ricercatezza.
Inserita nel cosiddetto Savona District, Linfa è una nuova insegna volta alla proposta della cucina vegana “plant based”. Il locale, molto luminoso, forse un filo troppo, si presenta con un’accoglienza di sala garbata e professionale e la possibilità di scegliere tra una buona proposta di soft drinks e cocktails assortiti per iniziare. Apre il pasto il Morbido di Polenta con stuzzicanti funghi pioppini trifolati e fichi freschi servito purtroppo a temperatura vulcanica. Sempre tra gli antipasti un gustoso e umido “il giusto” Hummus alla curcuma con dadolata di mela verde; riuscito esercizio di consistenze e sapori. Tra i primi piatti a là carte di Linfa troviamo il “Profumo di Autunno“, anche questo servito eccessivamente caldo, consistente in una tagliatella di farina di castagne con saporito ragoût di funghi porcini e salsiccia vegetale. Coerente da un punto di vista stagionale, la Pizza con crema e semi di zucca penalizzata da un’eccessiva aridità dell’impasto e dalla esiguità di olio che, “on top”, le avrebbe conferito oltre che maggiore “zing”, anche la giusta lucentezza. A seguire Orto, Tempeh (altrimenti noto come carne di soia) alla vista e al gusto piuttosto anonima e opaca. Per concludere e addolcire il palato una vivida e fragrante “Frutta e consistenze” composta da salsa al frutto della passione, salsa al lampone, gelèe di carota, di melograno e di ananas. Carta dei vini di routine.
In una delle vie più vivaci, dal punto di vista gastronomico, della Milano a cui piace mangiare, troviamo Mater Bistrot. Il locale è piccolo, posto all’inizio di Via Sottocorno. La proposta della cucina è piuttosto variegata ma si può riassumere in tre tipologie di piatti: piccoli bocconi da mangiarsi “con le mani”, intermezzati da “piattini” più consistenti e “piatti” veri e propri. In verità sono anche presenti piatti del giorno (incluso il dessert). Ma se la scelta risulta difficile non temete, potete sempre affidarvi allo chef.
Alex Leone, cuoco e proprietario, propone tre percorsi degustazione “bendati e guidati”, in cui il commensale si affida alla cieca nelle sue mani. I sapori spingo sull’acido e sul sapido ma nel complesso risultano anche rotondi. La Polpetta di mare con maionese al rafano e il Carciofo alla giudia sono piatti di pancia, l’Asparago con tuorlo e briciole urla “stagionalità” a gran voce, e sulla stessa linea d’equilibrio ma più elegante: il Risotto con aglio orsino e uova di salmone marinate. Non si teme a spingere sul Ceviche di tombarello, con mosto di fichi, estratto dragoncello accompagnato dalla sua ventresca, con mais croccante e ananas speziato: un piatto che azzarda e risulta essere solo un po’ asciutto, nel suo risultato finale.
Molto informale ma cortese il servizio. La proposta della carta dei vini, invece, è incentrata principalmente sui vini naturali. I tre menù degustazione proposti sono a sorpresa e variano, decisi dall’estro dello chef, ma si può scegliere la loro lunghezza: 4 portate a 52 euro, 5 portate a 62 euro oppure 6 portate a 72 euro.
Nasce dall’esperienza di Federico Sisti la trattoria, o meglio dire il bistrot Frangente, a Milano. Per chi bazzica un po’ per queste parti il nome suonerà familiare, a lui è dovuta infatti la rinascita, all’Antica Osteria il Ronchettino, della cucina milanese. Ma tra queste mura è tutta un’altra storia: qui lo chef si concede di cucinare liberamente, offrendo un’esperienza rilassata nonostante la continua evoluzione. La cucina a vista, e soprattutto aperta, permette all’ospite di incontrare in prima persona la brigata.
La cucina creativa mantiene il legame con le origini dello chef, romagnolo, con tanto pesce, selvaggina e carne ottima. I piatti cambiano continuamente, frutti dell’istinto dello chef che decide la carta al mercato, lasciando che gli ingredienti gliela rivelino. Omaggio alle radici è la Piadina con rucola e stracchino, ed omaggio alla città che lo ospita è la Testina di vitello, così come i Mondeghili, serviti con una salsa agrodolce. La Cotoletta alta si fa perdonare la mancanza del tradizionale osso con l’altissima qualità della carne e la cottura, a dir poco perfetta, che lascia la carne rosa e succosa, con la panasura croccante; accompagnata ovviamente da un buon purè di patate. In ultimo ma non ultimo i dolci: semplici nella loro perfetta e non facile esecuzione. Provare per credere, la Millefoglie ne è testimone.
Si respira un’aria giovane e dinamica da Frangente. Per chi volesse, all’ingresso e proprio fianco alla cucina c’è lo Chef’s table (il tavolo dello chef), per chi proprio non resiste ad avere gli occhi puntati sulla cucina per tutto il tempo. Celere il servizio, e molto attento. La carta dei vini non si dilunga, sono comunque presenti spunti d’interesse. Il menù degustazione non è ahimè previsto.
Piacevolissima sosta in un questo caldo e accogliente riparo allestito a mo’ di baita di montagna rivestito con legno recuperato da vecchie malghe e adornato di madie, graziose tendine, lampadari di cristallo e moccoli sui tavoli. Al ristorante Rifugio, lo chef Roberto Fimiani propone sapide e solide ricette della tradizione altoatesina tra cui il Roesti (frittelle di patate) con rotolini di speck e Quark e fiori di zucchina in pastella ripieni di Quark su letto di misticanza. In carta, unitamente agli antipasti indicati, spiccano scenografici taglieri di salumi cotti e crudi e formaggi tipici di alpeggio. Tra i primi degustati, un succulento Tris tirolese composto da un canederlo agli spinaci, ben eseguito, con burro di montagna versato, uno al formaggio e ottimi Schlutzkrapfen, ravioli pusteresi di farina di segale farciti con ricotta e spinaci adornati dal piacevolissimo tocco di noce moscata. A seguire un superbo stinco di maiale affumicato (dall’interno rosa) con patate rosse tirolesi, crauti e senape la cui cottura a bassa temperatura ne ha preservato l’umidità e la tenerezza e una meno tenue tagliata di cervo aromatizzata con coccole di ginepro e alloro, accompagnata da purè di patate e mirtilli rossi. La carta dei vini del ristorante Rifugio è piuttosto interessante, battente bandiera Trentina, acquisisce un plus per l’ottima selezione di birre, grappe e liquori.