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Nobu

Matsuhisa Nobuyuki, noto affettuosamente come Nobu, rappresenta l’archetipo dei ristoranti fusion asiatici e, in particolar modo, nikkei. Un pioniere che ha introdotto nella compostezza nipponica il vivace mondo delle contaminazioni occidentali, nonché uno dei primi chef-imprenditori a creare un impero di ristoranti sotto un unico brand, consolidando negli anni la sua posizione tra i più influenti cuochi della terra. Nel 2000, questa iconica presenza ha fatto il suo ingresso a Milano, avviando un sodalizio, ancora duraturo, con Giorgio Armani. Anche oggi, dopo 23 anni, i piatti distintivi Nobu sono ancora in carta ed eseguiti in maniera ineccepibile e uno tra questi, il Black cod al miso, è ancora il più venduto.. insieme ai Ravioli di wagyu e cipolla caramellata, salsa alla pera Nashi e burro tartufato, creazione, quest’ultima, ormai risalente a qualche anno fa – e oggi molto copiata – del resident chef, Antonio D’Angelo, entrato in sintonia con il Maestro per quanto concerne l’idea di contaminazioni. D’Angelo innesta, senza troppe remore, i sapori mediterranei nello stile fusion di Nobu facendo prevalere l’umami campano in più di una preparazione. Da un lato la contaminazione riesce perfettamente con il Raviolo di wagyu (cucinato nel medesimo stile del black cod) cotto al vapore e poi piastrato, con una farcia molto più affine ad una genovese o un ragù napoletano, dall’altro, è meno riuscito il connubio di reinterpretare il black cod al miso rileggendo la parmigiana. Nel complesso, però, i piatti sono golosi, qualcuno con qualche eccesso di sapidità ma con i sapori ben messi a fuoco. Nel reparto dolciario, curato dal pasticcere Beppe Allegretta, c’è un’interessante interpretazione del tiramisù (Tokyo-Tiramisù) che richiama il mochi giapponese con una spuma e il gelato e la foglia d’oro, omaggio a Marchesi e Milano. Di rilievo anche la piccola pasticceria.
Servizio rampante ed empatico e cantina con una vasta selezione di etichette, ma bisogna essere pronti a mettere mano al portafoglio.

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Nel proliferare di locali fusion a Milano siamo approdato presso questa interessante proposta nel giovane e dinamico quartiere di Porta Nuova-Garibaldi. Alla regia c’è Matteo Zhu, giovane proprietario – classe 1996 – nato a Biella da una famiglia originaria dello Zhejiang. È merito suo la scelta audace di aver voluto scommettere su questo angolo nel pieno centro della City Milanese. La famiglia è nella ristorazione in Italia da tempo, ma questo progetto si pone obiettivi ambiziosi con un desing ricercato e elegante e una cucina che strizza l’occhio al Giappone per poi allargarsi al mondo intero. Da Waby abbiamo degustato un Tris di ostriche intriganti e ben fatte, con tanti ingredienti di qualità e ben amalgamati e un sushi creativo ben realizzato. Un Black cod davvero buono, anche se forse un filo sapido e concentrato. Un luogo con una carta dei vini discreta, seppur incentrata su referenze abbastanza diffuse, completa il cerchio di questa esperienza, che mostra importanti margini di miglioramento. Forse l’unico vero appunto che possiamo muovere è che l’utilizzo di fornitori ottimi, ma abbastanza tradizionali e diffusi, alza certamente la qualità a dispetto di prezzi che rendono forse poco competitiva l’offerta, già abbastanza affollata, di locali di questa natura. Quanto al servizio di Waby è attento, preparato e molto solerte, sempre vigilato dal proprietario. Una esperienza intrigante e sicuramente interessante, pur coi limiti che abbiamo segnalato.

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Spazioso, sebbene dall’essenza soffusa, Mi – Cucina di confine è un locale sito tra via Senofonte e Viale Cassiodoro nel cuore del nuovo signorile quartiere di CityLife vestito di una gioiosa tappezzeria in carta dai motivi decorativi raffiguranti esotici pennuti ed illuminato da maestosi lampadari con frange a mo’ di voliere. “MI”, che significa riso in cinese, è il chicco che ha congiunto l’Oriente all’Occidente facendosi qui Ambasciatore nel viaggio “Fusion” dei sapori dell’antica tradizione rileggendoli attraverso tecniche di cottura della memoria e ingredienti ed interpretazioni odierne. Si debutta con dei tiepidi e stuzzicanti involtini vegani composti da crauti, funghi, carote, bambù e cipolla seguiti da profumati da triangolini al curry, carote, pisellini e patate. A seguire, Sashimi Mix constante di una selezione di pesce crudo (16 fettine) con salmone, tonno, ricciola, branzino, gambero, capasanta e tartare di salmone e avocado davvero fine al palato. Bravi. Tra gli uramaki scelti, vincenti e dal chicco scoppiettante i Rainbow Rolls composti da alga, riso, salmone, avocado, cetriolo, maionese speziata, avvolti da tonno, branzino, salmone, gamberi e ricciola seguiti da crocchianti Tempura Rolls avvolti da alga e farciti da riso, gamberi in tempura, rucola e maionese giapponese. In carta, Anatra alla Pechinese, Branzino al vapore in stile Hong Kong, Dim Sum, Noodles, Riso, Zuppe, Temaki e Nigiri in varie declinazioni e possibilità di scegliere tra un Menu Degustazione più breve e uno più articolato. Carta dei vini corretta con proposte di bottiglie interessanti e buoni distillati a fine pasto.

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Yoji Tokuyoshi ha trasformato il suo omonimo ristorante in qualcosa di nuovo, dal concetto interessante e dalla proposta brillante. La Bentōteca è un wine bar con gastronomia giapponese sebbene sembrerebbe più appropriato l’appellativo di izakaya moderna, nella medesima location (ancora più curata e trendy di Tokuyoshi, grazie all’ampliamento della sala). Oltre al servizio delivery/take away , Bentōteca offre un menu semplificato per il pranzo e uno più articolato e assortito per la cena. Il comune denominatore è il prezzo, che possiamo definire contenuto, soprattutto per la qualità del piatto. Una full immersion nei sapori del Giappone quella con gli  iwashikatsu (ossia sarde fritte) con potato salad giapponese o il katsusando di lingua e maionese verde. Ultra-golose le animelle karaage e asparagi bianchi fritti, per terminare con il piccione cotto intero con salsa alla sardella piccante calabrese e cipolle, semplicemente da applausi. Il servizio è spigliato e informale e pronto a consigliare anche sulla scelta dei vini, la cui selezione di etichette è molto interessante e spazia tra Italia e resto d’Europa.

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Nella zona tra Piazza della Repubblica e Stazione Centrale, densamente popolata di ristoranti orientali, è difficile distinguersi ma questo ristorante ci riesce, proponendo la cucina tipica di Hong Kong in una chiave moderna e raffinata. Nel menù sono protagonisti i Dim Sum in tutte le loro declinazioni, con particolare attenzione ai ravioli che variano frequentemente in base alla stagionalità. Anche dagli altri piatti risulta evidente l’eleganza e la semplicità sia nell’esecuzione sia nella presentazione dei piatti, i gamberi sale e pepe sono l’esempio perfetto perché, seppur apparentemente banali, si fanno apprezzare per sapore e fragranza. Il servizio è cortese, puntuale e non va in difficoltà nel descrivere dettagliatamente i piatti e consigliare nelle scelte. L’ambiente è accogliente e romantico, inoltre rappresenta un plus la piccola cucina a vista dedicata alla preparazione dei ravioli.

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Uno dei ristoranti di maggiore successo in città è quello gestito dalla famiglia Liu, lungimirante artefice anche di Ba e Gong, anch’essi fusion ma di base cinese. Iyo punta tutto sulla solidità dell’offerta e su un’imponente carta dei vini, con vasta sezione di Champagne e sakè. Grande sensibilità nella lavorazione del prodotto, rotondità del gusto, opulenza di ingredienti e tecnica inappuntabile sono le caratteristiche della cucina di Michele Biassoni, che si destreggia tra le proposte di un menu forse troppo vasto e che rischia, per questo, di essere dispersivo. Soprattutto, non venite qui per il sushi ma per assaggiare le originali creazioni che miscidano ingredienti italiani e internazionali con tecniche giapponesi, come gli Spaghetti di grano saraceno, crema di tuorlo d’uova, fagiolini, tartare di gamberi e zenzero in tempura o per l’ottima petto e coscia di quaglia francese che, nonostante la salsa di miso, si avvicina più alla cultura transalpina che a quella nipponica. Un servizio di sala piacevolmente e abilmente sopra le righe corona l’esperienza in quello che abbiamo ribattezzato “il ristorante fusion perfetto”.

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A poca distanza da Piazza Duomo c’è l’elegante locale di Wicky Pryan: chef di origini cingalesi dedito alla nobile arte del sushi, con esperienze in Giappone dai grandi itamae. Grande appassionato di arti marziali e di spade, disciplina che traspare anche nell’uso dei vari coltelli, da lui utilizzati abilmente dietro al bancone. E proprio l’esperienza al bancone è quella che vi consigliamo, con tanto di menu omonimo: 18 portate tra pesce e carne, crudo e cotto, sushi e, per finire, dessert, in cui nel suo amore per la Sicilia e il sud Italia si manifesta il suo concetto di fusion: maialino nero dei Nebrodi, capperi di Salina,  Caciocavallo di Martina Franca, Burrata e così via. Corretto e piacevole il sushi: sia per la materia prima utilizzata che per la consistenza del riso. 

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Prelibatezze di pesce a Milano per pranzo, aperitivo o cena in un
posto tanto piccolo quanto accogliente e informale, in zona Paolo
Sarpi
, lato via Canonica. Gu-mi è un’insegna “fusion” a modo suo che
ha nel pesce di qualità – fondamentalmente crudo – il filo conduttore
di un breve menu fatto di panini, tartare, tacos e burritos. Ad
ampliare la proposta, alcune portate cotte come le polpette di
baccalà, la frittura mista di pesce e il classico fish&chips. Equilibrati
e “intriganti” gli abbinamenti proposti, come per i nostri tacos di
ricciola marinata
arricchiti da leche de tigre, purea di patata dolce e
chicchi di choclo e per il burrito di salmone, con una ben fatta tortilla
ad avvolgere il salmone grigliato, il riso, l’avocado e il mais. La
cocktail list non è meno interessante e affianca a una Gin&Tonic list
diverse e originali interpretazioni dello Spritz.

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L’antesignano dei ristoranti fusion asiatici o di quelli nikkei, il padre dello sdoganamento della compostezza nipponica nel variopinto mondo delle contaminazioni occidentali, uno tra i primi imprenditori cuochi ad aver creato un impero di ristoranti facenti capo ad un unico brand: Matsuhisa Nobuyuki, anche noto come Nobu, è stato anche uno dei più influenti cuochi giapponesi della terra. Piatti celeberrimi e imitatissimi come il sashimi di ricciola e jalapeño o l’iconico e sempreverde black cod al miso non possono mancare nella collezione gastronomica di un appassionato. E da Nobu, nel complesso dell’Armani Hotel, i signatures sono ancora disponibili ed eseguiti in gran spolvero. Stiamo parlando di “copie d’artista” e, come nell’arte, benché i prezzi siano altissimi e il servizio un po’ ingessato, questo è l’unico modo di ottenere un’esperienza autentica. La cantina è fornita ma, anche su quel fronte, il portafoglio si sgonfia con facilità.

Casa Ramen Super è un “izakaya” (ndr. trattoria) fusion, nonché uno dei locali più divertenti e convincenti di Milano.
Luca Catalfamo prosegue il suo percorso convincendo con le sue contaminazioni sapienti di ricette tradizionali giapponesi con tocchi ispirati a cucine di altri Paesi. L’offerta è ampia, da un convenientissimo Omakase, a una carta sempre in movimento che, prima ancora dell’offerta di ramen, offre alcune chicche imperdibili, come i diversi tipi di dumplings, difficili da non riordinare a ogni visita o gli eccellenti bao, per non parlare della trota “on fire”, ovvero tartare di trota, salsa ponzu piccante, alghe nori tostate e lattuga, da comporre a piacimento. L’ambiente è raccolto ma accogliente, come il servizio di sala, estremamente gentile e disponibile. In cantina c’è una piccola selezione di sake, qualche birra estera e alcuni vini bio.

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